"Porto i turisti a pesca, la mia vita in alto mare"

Con la motonave Kelley C in passato prendeva a bordo anche 80 persone "I tempi sono cambiati, eravamo in tanti a fare questo lavoro. Ora siamo in tre"

Migration

di Mario Bovenzi

Che fine hanno fatto gli sgombri? E’ questa la domanda che da mesi, come una spina, è al centro dei pensieri di Gianluca Tomasi, 57 anni, da una vita al timone della motonave Kelley C all’ancora nel molo di Porto Garibaldi. E con gli sgombri se ne sono andati – se non tutti quasi tutti – i turisti che, un saltello sulla passerella salivano a bordo della sua imbarcazione con canne, mulinello, speranze appese al filo che si scioglieva nella corrente. "Qui eravamo in 22, 22 motonavi che portavano i turisti con la passione per la pesca al largo – dice Tomasi, i capelli biondi un po’ da pirata, il viso scolpito dal sole che d’estate batte forte sulla distesa d’acqua che si perde all’orizzonte –. Adesso siamo rimasti in tre, almeno questo è il numero dei battelli che fanno questo mestiere antico con tutte le carte in regola". Degli altri ‘colleghi’ che portano i villeggianti a tentare la fortuna con il miraggio di prendere un pesce grosso preferisce non parlare. Qualcuno vuole dare la colpa al clima per chiarire il mistero degli sgombri – e dei turisti – che non ci sono più. Ma lui non ci crede. "Sì – riprende mentre fa ruotare il timone, chiuso nella cabina piena di ricordi e di foto di trascorse avventure di mare e vita –, la scorsa estate c’è stato un caldo torrido, c’è stata la siccità e i nostri agricoltori hanno anche dovuto lottare con il cuneo salino. Ma quante volte anche in passato la temperatura andava alle stelle, il sole picchiava come il martello sul maglio di un fabbro". No, per quanto si facciano ipotesi anche nei bar che si affacciano con i loro tavolini sulla banchina nessuno riesce a spiegare cosa sia successo, il perché di questa sparizione che sta mettendo a repentaglio un settore. Settore che già paga – come ormai avviene per l’intera nostra economia –, anche i rincari. Che qui pesano soprattutto per il gasolio, il prezzo schizzato in alto. Ne sanno qualcosa i pescatori. Alcuni ormai preferiscono restare con la barca all’ancora davanti alla prospettiva di un guadagno incerto nelle maglie delle reti e di un costo certo goccia a goccia nel serbatoio della barca. Ha una vita dalle tante sfaccettature Tomasi. Dice ancora, poggiato al ripiano della sua Apecar colorata con le tinte di cielo e mare, la carrozzeria di un bel giallo brillante. "Sono nato in mare, facevo il pescatore, poi ho lavorato anche nelle piattaforme estrattive. Ma non si faceva niente e si guadagnava troppo", scherza un po’. Così ha lasciato, per portare la gente in un’avventura costellata di branchie e squame, pesci che saltavano in superficie presi all’amo. Qui una volta arrivavano comitive, pullman da mezza Italia di appassionati in cerca di un’emozione da mettere in valigia per raccontarla poi a casa agari. "Adesso siamo rimasti in tre – ripete – e dobbiamo pure stare attenti a pescare nello spazio di mare giusto’. In lenta navigazione tra i divieti.