
Il piccolo balcone della villa di Ro Ferrarese (sopra la porta d’ingresso) senza il pavimento, ceduto all’improvviso il 9 dicembre. Nel riquadro Davide Benetti
Ferrara, 28 maggio 2025 – Nel piccolo soggiorno dell’appartamento Antonellini/Benetti, in via Amendola a Copparo, Davide, nei tre quadretti fotografici che riposano sopra mobili e tv, sembra scrutarti e chiederti ’perché?’. Valentina, l’adorata mamma di 72 anni, gli siede di fronte, in un angolino del divano. “Scusatemi”, ripete quasi fossero una colpa quelle lacrime che continuano a sgorgare incessanti dal suo viso lacerato dal dolore. “Perché – sussurra – quando è morto Davide, sono morta anche io”. Una tragedia assurda, insensata, paradossale. Una gita scolastica, il pavimento di un piccolo balcone di una villa del XVIII secolo che si sbriciola, due uomini che volano giù da 5 metri. Uno resterà ferito, l’altro morirà 9 giorni più tardi. Quell’uomo si chiamava Davide Benetti, 43 anni, professore di sostegno a Ro. “Quel giorno, il 9 dicembre 2024, – attacca la donna – non doveva nemmeno essere lui ad accompagnare i ragazzi, doveva restare a scuola...”.
Valentina, cosa le hanno raccontato di quella mattina?
“I bambini delle due classi in gita stavano giocando nel cortile, tutti o quasi erano già passati da quel terrazzino. Davide fu l’ultimo con un rappresentante della Pro Loco (Giovanni Dalle Molle, rimasto ferito, ndr). Non appena ha messo piede sul balcone è crollato tutto”.
Chi la avvertì dell’incidente?
“Mio figlio stesso con un cellulare che si fece prestare, temeva che vedendo il suo numero fuori orario, mi preoccupassi”.
Cosa le disse?
“Mamma sono caduto. Ci portano via in elicottero e in ambulanza. Da quel momento non ho capito più nulla, corsi a Cona e quando lo vidi era rotto ovunque. Era cosciente, mi parlò: meno male che non mi sono rotto i denti. Dall’ospedale dissero che non aveva lesioni interne e lo ricoverarono in Ortopedia. Soffriva da morire, sentivo le sue grida dall’esterno: si era rotto il femore, tre vertebre, il malleolo, lo sterno. Mamma, continuava a ripetermi, mi fa male ovunque. Poi lo operarono”.
Quando avvenne?
“Giovedì 12 dicembre, io ero fuori in attesa senza sapere nulla. Uscì alle 19.30, appena Davide mi vide gridò: mamma dov’eri? È tutto il giorno che ti aspetto. Mi pianse il cuore. Da Cona mi spiegarono che tutto era andato bene. Invece...”.
Invece che accadde?
“Continuava ad avere la febbre, vomito e una gamba molto gonfia, dicevano che era il normale decorso post operatorio. Andavo due volte al giorno a trovarlo ma la situazione non migliorava mai, anzi. Non riusciva nemmeno a tenere qualcosa in mano per il dolore, dava pugni sul letto e per questo volevano chiamare uno psichiatra. Semplicemente perché soffriva e aveva un male terribile? Quelle parole furono una grande offesa per me e mio figlio. Ho ancora i suoi messaggi: ti prego, aiutami, sto male”.
Il 18 il quadro clinico peggiorò, fino al tragico epilogo...
“Mi telefonarono: signora, suo figlio si è aggravato. Venga qui. Appena arrivai, un medico mi fece sedere: suo figlio purtroppo non ce l’ha fatta. Embolia polmonare, abbiamo fatto il possibile. Mi pizzicai la pelle, lo chiamai, gridai il suo nome. Ecco, in quel preciso istante anche sua mamma è morta con lui”.
Secondo i consulenti, all’ospedale tutto è stato fatto in maniera “corretta e tempestiva” e i comportamenti dei sanitari “sono stati appropriati avendo adeguatamente tenuto conto dei rischi emorragici, chirurgici, tromboembolici per tutta la durata del ricovero”. L’embolo, insomma, fu imprevisto e imprevedibile.
“Non punto il dito contro i sanitari e non contesto il lavoro dei consulenti. Sarei solo curiosa di conoscere perché una settimana di febbre e vomito? Perché quella gamba gonfia? C’era dell’altro? In ogni caso, non si può morire in quel modo. Perché quella gita venne autorizzata in un luogo non sicuro? Davide deve avere giustizia”.
Qualcuno le spiegò il perché della scelta di visitare Villa Beicamina a Ro, “un sito non aperto al pubblico e aperto eccezionalmente”, come scrisse il dirigente in una memoria, “alla visita della scuola”?
“Bisognava prima chiedere l’autorizzazione al proprietario della villa, cosa che avvenne, poi fare un sopralluogo. Lo fecero una prof e l’operatore della Pro Loco, ma è come se l’avessi fatto io. Che competenze avevano per dire che tutto era sicuro in quel posto? Quel portone non viene quasi mai aperto...”.
Il preside e la scuola si sono fatti vivi dopo la tragedia?
“Il preside parlò al funerale, qualche giorno prima andò a trovare Davide in ospedale. Poi stop. Sa che gli disse mio figlio?”.
Prego...
“Stia vicino a mia mamma, come se Davide sentisse che se ne stava andando per sempre. Oggi mi chiama ancora la docente che fece il sopralluogo e organizzò la gita, spesso viene a trovarmi. Si sente in colpa, non mi sento di accusarla. Ma quella gita non doveva essere organizzata. Se il sopralluogo lo avesse fatto qualcuno con competenze specifiche, il balcone sarebbe stato chiuso”.
Chi era Davide?
“Tutta la mia vita. Un uomo buono, era al suo secondo anno nella scuola di Ro, amato dai suoi studenti. Qualche giorno fa ho incontrato uno dei suoi bambini al cimitero, continuava a cercare il suo professore per portargli un fiore sulla tomba. E non appena trovata, si è messo a piangere. Quel 9 dicembre Davide mi guardò, mi diede un bacio sulla porta e mi sussurrò: ciao mamma, ci vediamo tra poco...”.