Rapina in villa a Ferrara, le vittime: "Da quella notte non viviamo più"

Al via il processo all’ultimo dei tre uomini accusati del raid in un’abitazione con pistola e passamontagna. Gli abitanti erano fuggiti sul tetto assieme ai figli piccoli: "Appena sentono un rumore piangono"

Una pattuglia dei carabinieri durante un servizio di controllo (foto di repertorio)

Una pattuglia dei carabinieri durante un servizio di controllo (foto di repertorio)

Ferrara, 30 settembre 2022 - Da quella notte di due anni fa non vivono più. Ogni rumore insolito crea apprensione e riporta alla mente l’incubo vissuto il 13 giugno del 2020 nella loro abitazione in un paesino dell’Alto Ferrarese. Una ferita difficile da rimarginare e che è stata riaperta ieri mattina in tribunale, durante l’udienza del processo che vede alla sbarra l’ultimo dei tre soggetti accusati di una rapina a mano armata sfumata soltanto grazie alla prontezza dei padroni di casa e al rapido intervento dei carabinieri.

Dopo l ’uscita di scena dei due coimputati (entrambi hanno scelto riti alternativi), a giudizio è rimasto solo il ‘terzo uomo’, un albanese di 45 anni accusato di tentato furto e tentata rapina, entrambi aggravati. Insieme ai complici, con il volto coperto dai passamontagna e armati di pistola e piede di porco, avrebbero minacciato i padroni di casa intimandogli di aprire la porta e farli entrare. Una richiesta alla quale gli abitanti non hanno ubbidito, trovando rifugio suol tetto della villetta insieme ai figlioletti di 8 mesi e cinque anni.

Lì, pietrificati dalla paura, hanno trovato la forza di chiamare i carabinieri. Arrivati sul posto, i militari hanno fatto fuggire i banditi che, nel frattempo, avevano caricato sul furgone del padrone di casa una serie di oggetti trafugati dal garage. Uno di loro fu catturato quasi subito, gli altri due non molto tempo dopo.

Ieri mattina, davanti al collegio giudicante, sono stati ascoltati la vittima, uno dei carabinieri che ha svolto le indagini e uno degli ex coimputati, il quale ha riconosciuto il 45enne come proprio complice. La donna ha ripercorso i fatti di quella notte, ricordando di come si fossero affacciati sentendo dei rumori provenire dal cortile e si fossero poi trovati con la pistola puntata addosso. "Da quel giorno – spiega l’avvocato Gianni Ricciuti, difensore di parte civile per i coniugi vittima del tentativo di rapina – la qualità di vita dei miei clienti è peggiorata in maniera incredibile. Non riescono più a dormire. Subito dopo i fatti hanno installato un sistema di allarme e ogni volta che suona, magari soltanto per il passaggio di un animale, il bimbo più grande urla e vuole scappare. È un trauma che non guarirà mai. Il danno psicofisico – conclude il legale – è maggiore di quello materiale".

L’udienza di ieri si è conclusa con la richiesta di un test del Dna su uno dei passamontagna ritrovati quella sera, ritenuto essere stato indossato dall’imputato. Un’istanza sulla quale il tribunale si è riservato, in attesa dell’esame del secondo coimputato che verrà ascoltato nella prossima udienza, il 10 novembre. È possibile che la perizia genetica venga accolta nel momento in cui le successive testimonianze gettino dubbi sul coinvolgimento del 45enne albanese nella rapina.