"Rimpiango il giornalismo ragionato e obiettivo, non ’chiambrettizzato’"

Caro Carlino,

in una trasmissione televisiva dedicata al presunto pericolo fascista che graverebbe su Ferrara a causa di maldestri e stupidi “chattatori” ho notato un giornalista che - nel servizio trasmesso in TV - inseguiva un consigliere comunale per strappargli a tutti i costi qualche dichiarazione. Consigliere che, a mio avviso, ha fatto benissimo - al di là delle sue ragioni e dei suoi torti - a sottrarsi all’agguato mediatico. Ma - mi chiedo - che razza di giornalismo è questo? Ricordo Piero Chiambretti in versione “Portalettere”. Pedinava, inseguiva,irrideva e derideva. Lo faceva con classe, da comico raffinato, e ci piaceva pure. Una novità sul piccolo schermo, caratterizzata da una buona capacità di mettere alla berlina il potere. Era un uomo di spettacolo e poteva farlo senza problemi. Poi arrivò Stefano Salvi, inviato del TG satirico italiano più conosciuto, che è entrato nel nostro immaginario per la rincorsa dietro il cappotto di Enrico Cuccia, dopo aver occupato il suo pianerottolo. Salvi ha dato inizio alle interviste assillanti. Insomma ha aperto la porta. Valerio Staffelli poi l’ha sfondata, continuando quel tipo di strategia persecutoria (pur con vittime di livello inferiore). Da Mediobanca ai mediocri, verrebbe da dire. Con tanto di “tapiro d’oro” a rendere tutto più avvilente (almeno a mio giudizio). Da ultimo vennero “Le iene” a perfezionare il meccanismo. Da allora si è pensato che si potesse fare anche così il “mestiere” di giornalista: facendo diventare notizia una non risposta, o uno sguardo truce, o un rifiuto a rispondere, magari connotato da un passo affrettato o da una frettolosa entrata in automobile. Il tutto corredato da un reporter con il microfono in pugno, brandito come una clava e un operatore che si muove in continuazione, come un runner, per pompare adrenalina nello spettatore. Un’aggressione mediatica in piena regola, una violazione della privacy, perché le regole della deontologia vanno a quel paese: non chiedi l’intervista, attendi la vittima sotto casa sua, magari – a causa del precariato e delle scarse occasioni di lavoro – ti travesti pure (come è accaduto) mortificando la tua professionalità. Poi ci meravigliamo di D’Alema che, inseguito sotto casa mentre porta a spasso il cane, rovescia il piatto di agnolotti che gli veniva provocatoriamente porto da una giornalista... “Il vostro mestiere - disse “Baffino” all’inviata Rai - non è quello di organizzare queste simpatiche messinscene.. dovrebbe essere un altro”. Rimpiango il giornalismo ragionato e obiettivo, non quello “chiambrettizzato”.

Mauro Marchetti