Sparatoria, la relazione del perito "Cazzanti è pericoloso, va curato"

Depositata la relazione dello psichiatra: "Non era in grado di intendere e volere, ma può stare a processo"

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di Federico Malavasi

Quando ha sparato al collega Roberto Gregnanini, Michele Cazzanti non era in grado di intendere e volere. È la granitica conclusione dello psichiatra Luciano Finotti, il perito incaricato dal gip Danilo Russo di esaminare il profilo del 56enne in carcere per l’omicidio del sessantenne dipendente comunale, raggiunto da un colpo di pistola all’addome il 3 marzo e morto dopo sei mesi di calvario. Nelle quaranta pagine della relazione depositata nelle scorse ore, Finotti scava nel passato di Cazzanti, accendendo i riflettori sui fantasmi che hanno armato la mano del 56enne, spingendolo ad attendere per un’ora la sua futura vittima all’angolo tra piazzetta Schiatti e via Boccaleone per poi scaricargli addosso la propria Glock. Secondo l’esperto, l’indagato, oltre a non essere in grado di intendere e di volere è anche da ritenersi socialmente pericoloso. Tuttavia, il suo stato mentale non è tale da impedirgli di partecipare al processo che verrà instaurato nei suoi confronti.

La relazione di Finotti parte dalle dichiarazioni rese dall’indagato agli inquirenti al momento dell’arresto, dopo una fuga durata alcune ore. Cazzanti, lo ricordiamo, ha spiegato di essere perseguitato da una serie di persone, tra cui Gregnanini, la cui presunta ostilità starebbe all’origine del suo malessere. A fronte di ciò, però, il 56enne non ha saputo indicare una motivazione chiara e ha negato discussioni o contrasti con la vittima per motivi legati al loro lavoro. Secondo il racconto dell’indagato, tutto sarebbe partito da alcune sue avance verbali nei confronti di alcune colleghe. Comportamenti che avrebbero spinto il sessantenne a perseguitarlo, coinvolgendo anche altre persone, alcune delle quali sconosciute. Il racconto di Cazzanti si inoltra poi in un tunnel fatto di soggetti che lo avrebbero spiato, seguito, insultato (con riferimenti anche alla sua sfera privata), fino ad arrivare a piratargli il cellulare e spiarlo attraverso il televisore. Fatti all’origine dei quali, secondo l’interpretazione dell’indagato, ci sarebbe sempre stata la mano di Gregnanini. Da qui la convinzione che uccidere il sessantenne fosse "l’unico modo per interrompere la persecuzione". La relazione di Finotti passa poi in rassegna le cure psichiatriche a cui il 56enne si era sottoposto, il fatto che si fosse messo a bere alcolici (ha ammesso di aver bevuto dell’amaro anche il giorno della sparatoria) e la sua volontà di prendere il porto d’armi per tiro sportivo, nonostante l’opposizione dei genitori. Una serie di elementi che, messi uno dietro l’altro, hanno spinto il perito a diagnosticare un disturbo delirante che rappresenta "una vera e propria infermità mentale", tale da compromettere la capacità di intendere. Cazzanti riconosce la gravità della sua condotta, ma "la giustifica" all’interno di una costruzione delirante fatta di ‘buoni’ e ‘cattivi’. Su queste basi, conclude lo psichiatra, è innegabile che l’indagato necessiti di assistenza specialistica e ricovero in una struttura.

"I periti hanno riconosciuto unanimemente lo status quo di Michele Cazzanti – ha dichiarato l’avvocato Fabio Anselmo, difensore dell’indagato –. Non può stare in carcere, ma in un luogo in cui sia curato e dove possa essere messo in condizioni di non fare male a se stesso o agli altri. Quello che mi chiedo è come mai in queste condizioni gli sia stato rilasciato un porto d’armi. Ci reputiamo persone offese o comunque danneggiate insieme alla famiglia del povero Gregnanini, e vittime di una gravissima mancanza di tutela da parte dello Stato. Se ci dovesse essere un’indagine, credo che avremmo diritto di depositare nomine come persone offese o comunque costituirci parte civile insieme alla famiglia di Gregnanini, alla quale va tutta la mia solidarietà. Cazzanti non doveva essere in condizioni di avere un’arma".