"Speranza, questa la parola chiave"

Il ‘Dopo di noi’, avvocato in prima linea da ormai trent’anni per superare vuoti legislativi e culturali

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Se ne parla poco, troppo poco, in quella complessità di sentimenti che rispetto alla disabilità chiama in causa il pudore, rischia lo stigma, abolisce la morte, che fingiamo non ci tocchi e di cui rifiutiamo di programmare le conseguenze. E’ il Dopo di Noi, per cui la Regione ha peraltro di recente stanziato 445 mila euro nell’ambito dell’apposito Fondo nazionale. Ne parliamo con Alessandra De Rosa, avvocato ferrarese in prima linea da ormai trent’anni per superare vuoti legislativi e culturali in materia. Una sensibilità, la sua, trasformata in nicchia di professione. "Molti anni fa lessi di un padre che aveva ucciso la propria figlia disabile per poi auto sopprimersi per il timore che nessuno si sarebbe occupato di lei. Ne fui sconvolta".

Quel giorno è cominciata la sua ‘missione’

"Perché la disabilità esiste, come esiste il diritto alla dignità, alla speranza, alla progettualità. E serve che i genitori sappiano di poter lasciare questa vita non abbandonando nessuno".

Avvocato, a che punto siamo?

"Buono. Nel tempo, come operatori giuridici e sociali, abbiamo cercato di fare rete a livello nazionale. La figura dell’amministratore di sostegno, che affianca la persona, ha consentito di superare l’interdizione e l’inabilitazione. C’è la legge sul Dopo di Noi, ché si occupa però solo delle disabilità gravi, dunque perfettibile. Il vulnus è la mancanza di informazione, oltre alla solitudine e allo smarrimento di chi vive queste condizioni".

Di che disabilità parliamo?

"Tantissime. Autismo, Sindrome di Down, a Alzheimer giovanile, disabilità motorie o cerebrali acquisite".

L’identikit di chi si rivolge al suo studio.

"Genitori anziani, che hanno superato i 60 anni, magari si ammalano e cominciano a chiedersi cosa succederà ai figli quando non ci saranno più. Talvolta si presentano a 80 anni, con figli di 50, in una condizione di emergenza, mossi da una profonda angoscia e dall’interrogativo dove andrà ad abitare? Chi si occuperà di lei o lui?. Questo va evitato, bisogna agire prima, quando ancora si è in forze".

Cosa, ad esempio, non si sa?

"Che i genitori possono stipulare contratti con fondazioni di prassi gestite da altri genitori con una partecipazione pubblica, che consentono la successiva presa in carico dei figli per una vita qualitativamente buona. Quando lo scoprono, si sentono sollevati".

Come fare cultura?

"Facendo sensibilizzazione. Lo scorso maggio, proprio a Ferrara, al Teatro Comunale, abbiamo promosso come Lions Diamanti e istituzioni la presentazione del Progetto Kintsugi. C’erano più 600 persone. Segno che l’interesse c’è. Ma dobbiamo stringere alleanze, anche con i mezzi di informazione che sono fondamentali".

Per rasserenare queste persone, quale è il termine che lei usa più spesso?

"Certamente la parola chiave è la speranza, perché questa parola scioglie come neve la loro fatica di vivere".

Camilla Ghedini