"Tercas, non furono aiuti di Stato" Così anche Carife poteva salvarsi

La Corte di Giustizia europea sentienzia la legittimità dell’intervento del Fitd previsto anche per Ferrara

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di Stefano Lolli

Una sentenza tonante ma che purtroppo non sposta indietro le lancette della storia: non erano ’aiuti di stato’ quelli utilizzati dal Fondo Interbancario per garantire il rifinanziamento di Banca Tercas. E per proprietà drammaticamente transitiva, il castello edificato nel 2015 per evitare la liquidazione della Cassa di Risparmio di Ferrara, aveva dunque basi solide. Ieri infatti la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha respinto l’impugnazione proposta dalla Commissione "contro la sentenza del Tribunale relativa alle misure adottate da un consorzio di banche italiane a sostegno di uno dei suoi membri". Per i giudici, il Tribunale "ha correttamente dichiarato che tali misure non costituiscono aiuti di Stato in quanto non sono imputabili allo Stato italiano". Il Fondo Interbancario, che aveva travasato 300 milioni di euro, è infatti una sorta di consorzio tra gli istituti di credito; lo stesso organismo – e la stessa formula – che come si ricorderà si era proposto per il salvataggio di Carife. Nel 2015, a costo di un primo bagno di sangue per gli azionisti (visto che per consentire l’interevento del Fitd l’assemblea dei soci aveva approvato la riduzione del valore dei titoli a una quota praticamente simbolica), era stato impostato un piano di salvataggio, in seguito utilizzato per garantire la continuità della Cassa di Risparmio di Cesena.

Ma nell’estate di cinque anni fa, dopo la deliberazione del Fitd e l’avvio delle procedure tecniche per arrivare, nel corso di pochi mesi, alla ristrutturazione della banca cittadina, si erano originati intoppi di carattere essenzialmente politico. Dalla commissaria alla Dg Competition Margarethe Vestager era scattato un richiamo al governo italiano, indicando proprio l’impossibilità di battere quella strada (fotocopia di quella utilizzata per la banca molisana) in quanto i fondi sarebbero risultati ’aiuti di stato’, violando la normativa comunitaria. A nulla erano valsi i richiami alla ragionevolezza partiti, all’epoca, anche dall’allora sindaco Tiziano Tagliani (che ora si dice "tristemente confortato dall’idea di vedere riconosciuta la giustezza della linea per la quale ci eravamo battuti assieme alla Fondazione Carife"); la sostanziale arrendevolezza del governo Renzi aveva fatto scivolare la situazione verso l’esito che migliaia di risparmiatori ferraresi stanno ancora pagando. Con il ’decreto salvabanche’ che nel novembre 2015 ha spazzato via, assieme a Carife, anche la Popolare dell’Etruria, Banca Marche e Carichieti.

Carife però poteva non finire nel calderone, è quanto emerge – pur di riflesso – dalla sentenza che arriva dal Lussemburgo. Dove già nello scorso mese di novembre l’avvocato generale della Corte di Giustizia, Evgeni Tanchev, aveva stabilito che l’intervento italiano per Banca Tercas non era un aiuto di stato. Se è vero che la storia non si può riscrivere, perché non è dato sapere cosa sarebbe avvenuto con il rifinanziamento da parte del Fitd, la sensazione di una terribile beffa ora è certificata dai bolli del tribunale europeo: "Carife poteva essere salvata – si dice sicuro il sindacalista Samuel Paganini della Fisac Cgil – e quasi 500 posti di lavoro mantenuti. Per non parlare dei danni ai risparmiatori e del costo per tutto il sistema". A nulla, si ricorderà, erano valsi anche i ricorsi al Tar contro il ’decreto Salvabanche’ presentati dalla Fondazione Carife, e appoggiati anche da Tagliani: per la banca cittadina la ’sentenza’ era stata scritta sull’altare della politica. Peccato che ora sia arrivato il più clamoroso degli appelli.