"Trasfusioni con sacche infette" Diciannove anni di battaglie legali

Nel 1993 l’anziana viene sottoposta a due somministrazioni, tre anni dopo si accorge di avere l’epatite C. Nel 2003 inizia la causa con il Ministero, mentre nel 2011 contro la Regione. Il caso è fermo in Appello

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di Cristina Rufini

FERRARA

Un’odissea di cui lei, Edvige, non potrà vedere la fine, perché è morta ormai da anni. Molto prima addirittura dell’indennizzo riconosciutole dallo Stato, che è stato pagato alla figlia solo nel 2011. Un classico, purtroppo, esempio di giustizia lumaca. Edvige che all’epoca dei fatti, e stiamo parlando del 1993, aveva 77 anni e qualche patologia, tra il primo e il due aprile viene sottoposta a due trasfusioni di sangue all’ospedale San Camillo di Comacchio. Una condizione di partenza certo non facile che però le due trasfusioni subite ben ventinove anni fa hanno certamente complicato, considerando che proprio da quel sangue somministrato – come sentenziato dai giudici della terza sezione civile del Tribunale di Bologna – l’anziana contrae l’epatite C. Siamo negli anni dello scandalo delle sacche infette. Edvige però si accorge di essere stata infettata tre anni dopo, a maggio del 1996. Da qui inizia la lunghissima battaglia giudiziaria, proseguita dalla figlia, per ottenere giustizia, cioè per essere risarcita di quanto subito. Battaglia che ha sì segnato un primo risultato, con l’indennizzo del Ministero della Salute, riconosciuto in base alla legge 21092, ma che non ha portato ancora a un risarcimento del danno vero e proprio, conseguente all’errore commesso nella struttura ospedaliera. Eh sì, dopo ben ventinove anni, o se vogliamo essere più precisi, ventisei da quando Edvige si accorge di avere contratto l’epatite C, non è stata ancora firmata una sentenza definitiva in merito alla richiesta di risarcimento dei danni. Chiusa la partita con il Ministero, l’avvocato Francesco Ferroni dello Studio Effeffe & Partners, che ha assisto l’anziana e che oggi assiste la figlia sua erede, chiama in causa la Regione Emilia-Romagna (succeduta alle disciolte Usl) per ottere il risarcimento. Procedimento iniziato nel 2004 e che dopo diciotto anni non ha visto scrivere la sentenza di appello. Tempi così dilatati da sembrare quasi incredibili. E invece le date di inizio delle cause stanno a dimostrarlo, nero su bianco.

Dal 2004 per avere la sentenza di primo grado, che ha riconosciuto il nesso di causalità tra le due trasfusioni e l’infezione da epatite C, si è dovuti arrivare al 2011, quando i giudici hanno condannato la Regione a pagare trecentomila euro di risarcimento del danno, oltre le spese legali sostenute. L’amministrazione ha però impugnato la decisione di primo grado e qui ci siamo arenati di nuovo. Cioè dopo undici anni siamo ancora in attesa della sentenza della Corte di Appello di Bologna. Una causa infinita anche perché per due volte trattenuta in decisione e poi ripartita dall’istruttoria per ascoltare il consulente tecnico per alcuni chiarimenti medico legali. La figlia dell’anziana – Edvige come già anticipato è purtroppo deceduta nel 2005 – e i suoi legali, gli avvocati Francesco Ferroni, che ha seguito l’iter fin dalla prima carta bollata, e la collega Daniela Milanesi dello Studio Effeffe & Partners, sperano sia arrivato il momento della decisione finale. Definitiva. E comunque sarà sempre enormemente troppo tardi.