Tre diverse parabole, un solo messaggio: Dio ama gratuitamente

Questa domenica si susseguono senza interruzione tre parabole: la pecora perduta, la moneta smarrita, il figliol prodigo. Il fatto che i tre insegnamenti vengano esposti di seguito fa capire come vogliano, nell’intenzione di Gesù, esprimere un messaggio comune. Per comprenderlo è importante il contesto: si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro". I destinatari sono quindi i farisei e gli scribi, rappresentanti del popolo fedele agli insegnamenti divini, scandalizzati dalla vicinanza e intimità che il Signore concede a coloro che, invece, vivono un’esistenza esplicitamente contraria alla legge. Ai primi Gesù rivolge questa parabola articolata in tre scene, invitandoli a cambiare sguardo nei confronti della realtà. Vorrei sottolineare due aspetti: l’immagine di Dio e la sana religiosità. Partendo dalla prima, il Signore sfida i religiosi sull’immagine di Dio che abita il loro cuore. La pecorella smarrita mostra un pastore che non può sopportare la perdita di neanche una delle pecore che gli appartengono. Non ne fa una questione di numero, ma di qualità: appare così un Dio che dà valore assoluto al singolo. Così la moneta perduta continua lo stesso messaggio che sfocia nell’ultimo racconto dove il rapporto diventa quello tra un padre ed un figlio. Il contrasto con il metro di giudizio dei farisei è severo: mentre questi sembrano poggiare sul merito, su un concetto di giustizia inteso come ‘tassa’ da pagare per essere degno della vicinanza di Dio, il Signore invita a recuperare la visione di un Dio che ama gratuitamente al di là della risposta umana. Nell’ultimo racconto del figliol prodigo, entra in scena tuttavia un secondo personaggio: il figlio maggiore. Il suo agire, rifiutando di festeggiare per il ritorno del fratello, ed il suo parlare, rivendicando una sua visione di giustizia, pone la questione della vera religiosità. Si capisce, infatti, che il maggiore in realtà invidia il minore: anche lui non sopporta il padre, e non si è ribellato solo per mancanza di coraggio. Vive la vicinanza con il padre come una fatica da sopportare per averne vantaggi. Fuor di metafora, esce dal racconto una religiosità vissuta per dovere, mossa dal timore. Anche qui, il Signore chiama a una conversione: una fede sana si fonda sull’amore ad un Dio che si avvicina come Padre, nel quale e con il quale si può vivere una dinamica realmente famigliare, capace di riconoscere negli altri non dei concorrenti, ma dei fratelli e delle sorelle da amare.

Don Paolo Bovina