di Federico Di Bisceglie
Nel nome di Tortora. Parla con il garbo delle signore d’altri tempi. Il suo è il ruggito di una leonessa che, da quella ferita mai rimarginata del lontano giugno ’83, intravede nei referendum sulla giustizia un balsamo per lenire – seppur lievemente – il suo dolore. Francesca Scopelliti, giornalista, ex parlamentare ma soprattutto compagna di vita di Enzo Tortora (il prototipo per eccellenza di vittima di malagiustizia), domani sarà a Ferrara, ospite di un’iniziativa organizzata dal ’Comitato per il sì – Giustizia Giusta’. L’appuntamento è alle 18, nella sala della Musica di via Boccaleone. Nel frattempo, Scopelliti ha anticipato al Carlino il significato di questi referendum per una persona che non ha mai smesso di lottare.
Scopelliti, la sua battaglia continua. Cosa direbbe Enzo Tortora oggi?
"Voglio portare il nome e l’esperienza di Tortora anche ai giovani. Il passato non deve essere dimenticato. Anche perché la percentuale di errori giudiziari anche oggi è assolutamente intollerabile".
Qual è il quesito che le sta più a cuore?
"Paradossalmente quello che è stato ’cassato’ da Giuliano Amato: ossia quello legato alla responsabilità civile dei magistrati. Una richiesta che veniva direttamente dall’Unione Europea".
Di quelli ammessi, quale reputa di più stringente?
"Quello legato alla valutazione dei magistrati. A mio parere una corretta attività di controllo sull’azione dei giudici costituirebbe il primo passo concreto per evitare gli errori. Sarebbe in una certa misura un ’risarcimento sociale’".
Cosa intende dire?
"Una società che non ha vittime della giustizia è una società migliore. Spesso, secondo me, i giudici non hanno piena contezza di quanto il loro ruolo e le loro decisioni si riverberino sulla vita delle persone. E’ tempo di introdurre criteri di meritocrazia e uscire dalla logica di auto-valutazione".
Lei ha militato, come Tortora, al fianco di Pennella la cui battaglia sulla separazione delle carriere fu memorabile.
"Questo quesito, assieme a quello sulla carcerazione preventiva, mi stanno particolarmente a cuore infatti. D’altra parte, separare le carriere significherebbe muoversi nella direzione tracciata da Giovanni Falcone, il quale sosteneva che il Pm era l’avvocato dell’accusa. Quanto all’abuso della carcerazione preventiva, è presto detto: spesso è l’origine dell’errore giudiziario".
Di questi referendum si parla meno rispetto ad altri appuntamenti elettorali. Come se lo spiega?
"Molti imputano questo silenzio al ’tecnicismo’ dei quesiti. Ma la realtà è diversa. Questo silenzio è la dimostrazione di come il potere giudiziario sia ancora capace di condizionare politica e informazione. Ed è per questo che occorre andare a votare. E votare si. Una grande battaglia di libertà".
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