FRANCESCO FRANCHELLA
Cronaca

Una mostra nel nome di Gabriele Turola. Quel talento che Scardino portò alla luce

A cinque anni dall’improvvisa scomparsa, nel 2019, la Galleria del Carbone ha inaugurato l’esposizione dedicata all’artista

Una mostra nel nome di Gabriele Turola. Quel talento che Scardino portò alla luce

A cinque anni dall’improvvisa scomparsa, nel 2019, la Galleria del Carbone ha inaugurato l’esposizione dedicata all’artista

"Dedicato a Gabriele Turola". Già dal titolo dell’esposizione si intuisce chiaramente il fine degli organizzatori: omaggiare un artista ferrarese, che pochi hanno compreso mentre era in vita e che pure è riuscito a portare la sua opera, e di conseguenza un pezzo di Ferrara, in importanti gallerie italiane.

A cinque anni dall’improvvisa scomparsa, nel 2019, di Gabriele Turola, la Galleria del Carbone ha inaugurato lo scorso weekend una mostra dedicata all’artista ferrarese, visitabile fino al 22 settembre, promossa da Accademia d’Arte Città di Ferrara e Associazione Bondeno Cultura, con il patrocinio del Comune di Ferrara. L’esposizione è corredata da un bel catalogo illustrato, con interventi come quelli del curatore Corrado Pocaterra, dei critici Lucio Scardino e Galeazzo Giuliani, dell’artista Marcello Carrà. Pittore, poeta, critico d’arte e giornalista, Turola nasce per dipingere, ma l’accademia non fa per lui. Si accorge del suo estro Nazareno Cinti, orologiaio con la bottega in via Cairoli, che negli anni Settanta gli commissiona 100 tavolette di masonite a tempera. Sarà poi Scardino, nel 1986, a intuirne il talento, tanto da inserirlo nella mostra Officina Ottanta, in Castello Estense. Da lì, l’ascesa, attraendo importanti gallerie in tutta Italia, come la Toselli di Milano. A cosa è dovuta questa ascesa? Insomma, che artista era Gabriele Turola? "Tutte le cose hanno un’anima", scriveva sul retro di un quadro della Collezione Felloni, ricordando una frase contenuta nella Nuova Enciclopedia di Alberto Savinio, fratello di Giorgio de Chirico: "L’ombra è l’anima dell’uomo, il suo kâ". Le due affermazioni sembrano complementari e, in parte, spiegano l’origine della fantasia pittorica di Turola, una fantasia alimentata dalla realtà, più fisica che metafisica: i suoi oggetti ora fluttuano ora si portano a terra con la loro ombra, così veri e così inventati. Manichini, auto, strumenti personificati, donne e uomini reificati, in uno spazio alogico, che rifiuta giustificazioni univoche. In tale spazio, emergono, senza rispettare equilibri, come da uno specchio in frantumi, spiragli di Ferrara e dei suoi monumenti: il Castello, la Cattedrale, piazze, campanili. Il Quadrivio ha il volto di una sentinella e diventa una porta, la Torre dei Leoni sorride, i segni di Palazzo Schifanoia giocano con elementi pop e mitologici, creando uno zodiaco del contemporaneo, ma anche un mondo plasmato da riferimenti al Quattrocento di Cosimo Tura e al paganesimo (seppur cristiano) di Mazzolino, del suo horror vacui. Sovrabbondanza di citazioni? Forse sì, e la smania di inserirle tutte può anche sfinire, l’estetica caricarsi all’eccesso o quel tanto che serve per proteggere il contenuto, il significato profondo. Capirlo non è semplice. Certo, si può tentare, provare a descrivere quel che si vede ma non sempre si può spiegare, né Turola lo voleva (così dice chi l’ha conosciuto). E questo, lo si deve rispettare.