
Respinti i ricorsi delle difese degli imputati, sentenza definitiva. Cade l’aggravante della transnazionalità. Rimangono le condanne per boss e ‘soldati’ del clan. Il Comune parte civile: "Ha vinto tutta la città" .
Quella che finora era soltanto un’ipotesi accusatoria o la convinzione di osservatori ‘profani’, ora è diventata una verità giudiziaria. Gli Arobaga Vikings – la banda nigeriana che per anni ha fatto il bello e il cattivo tempo in zona stazione spacciando droga e regolando i propri conti a colpi di machete – erano un’associazione di stampo mafioso. L’ultima parola è arrivata nel primo pomeriggio di ieri dalla corte di Cassazione. I giudici della sesta sezione penale, rigettando i motivi di ricorso delle difese hanno confermato la correttezza di quanto stabilito finora da due gradi di giudizio riguardo al nocciolo dell’imputazione, l’ipotesi appunto di associazione a delinquere di stampo mafioso. Parallelamente, hanno annullato l’aggravante della transnazionalità del reato. Ferma restando la cristallizzazione del grosso delle contestazioni portate avanti finora, ora si tratterà di capire se e quali ripercussioni questo ultimo passaggio possa avere sul calcolo delle pene per i tredici imputati, già ridotte peraltro in Appello. Per saperlo bisognerà attendere le prossime ore, quando il dispositivo di sentenza sarà a disposizione dei legali.
Nel frattempo, però, il verdetto della Suprema corte rende definitiva la sentenza (e le relative condanne) su una vicenda giudiziaria che si è trascinata per anni, a partire dalle certosine indagini della polizia di Stato, e in particolare della terza sezione della squadra mobile che, in quattro anni di lavoro, ha prodotto un’informativa di 2.300 pagine. Atti attraverso i quali il pubblico ministero Roberto Ceroni ha imbastito un castello accusatorio che ha sostanzialmente retto in tutti i gradi di giudizio, arrivando a condanne irrevocabili (e severe) per i principali membri dei Vikings, a partire dai boss Emmanuel Okenwa detto dj Boogye ed Emmanuel Albert, detto Ratty, fino ai membri della cosiddetta ‘banda del machete’, responsabili del tentato omicidio di via Olimpia Morata, commesso nel 2018 ai danni di un elemento di spicco di un clan rivale, evento che permise agli inquirenti di sollevare il velo sulle dinamiche della cosca. Tra i primi a esprimere soddisfazione per la sentenza di Cassazione sono stati il sindaco Alan Fabbri e l’assessore alla Sicurezza Cristina Coletti, quest’ultima presente in udienza come parte civile costituita con l’avvocato Giacomo Forlani. "Il vero valore di questa sentenza è simbolico e civico – ha dichiarato il primo cittadino –: la decisione emessa dalla Cassazione non è che il riconoscimento formale e giuridico di quanto già sapevamo fin dall’inizio di questa battaglia. È il riconoscimento di una verità che per troppo tempo è stata ignorata. Ha vinto una Ferrara che ha saputo agire prontamente per riportare legalità e sicurezza". Gli fa eco l’assessore Coletti. "Ciò che si sancisce oggi è una nuova e, finalmente, definitiva conferma di quanto abbiamo sempre sostenuto – ha dichiarato –. C’era un enorme problema a Ferrara, che è stato gravemente sottovalutato da chi ci ha preceduto, nonostante gli efferati fatti di cronaca, le proteste dei residenti e le nostre incessanti segnalazioni".
A Roma, davanti al ‘Palazzaccio’ in attesa di un verdetto che per certi aspetti lo interessa da vicino, c’era anche l’ex vicesindaco Nicola Lodi, tra i primi a sostenere che in Gad fosse attiva una banda che operava con metodi mafiosi. "Ho voluto essere qui per i cittadini – ha scritto su Facebook –. Non potevo mancare perché sentivo che mi sarei perso la chiusura di un cerchio. Ora, finalmente, possiamo mettere un punto definitivo".