"Sto vincendo la mia battaglia con il Covid. Dico a tutti di non abbassare la guardia"

Lorenzo Linoso, 56 anni , uscirà venerdì dall’ospedale di Cona dopo sessanta giorni di cui venti intubato. Sempre presente alle corse a Siena

Lorenzo Linoso

Lorenzo Linoso

Ferrara, 25 maggio 2020 - «Da sessanta giorni vivo una vita parallela, fatta di sogni strani indotti dalla morfina, di cure pazienti, di affetti indicibili". Lorenzo Linoso, per tutti ‘Linus’, amato capitano del Rione San Benedetto, sta uscendo dal tunnel del Covid. Parla dal giardinetto della Riabilitazione di Cona, dove resterà sino a venerdì 29: "Scusi la voce, sembra quella di un ottantenne, ma mi sto riprendendo e presto mi sentirete urlare", sorride. Sessanta giorni di ospedale. Come è iniziata la sua odissea? "Parto da quando non sapevo che mi sarei ammalato. A metà febbraio avevo chiamato un amico di Legnano, appassionato come me di Palio, per parlare di corse e fantini. ‘Ma di che parli, Lore? Lo sai che qui la gente sta morendo?’, mi ha risposto. Quella frase mi ha scosso, ho capito che stava succedendo qualcosa di terribile". Non che sarebbe capitato a lei. Ha qualche idea su come è stato contagiato? "Ci ho pensato mille volte ma non ci arrivo a capo. Lavoro per una ditta di cosmetica, giro per le province di Bologna, Modena, Reggio Emilia. Ma dal 6 marzo, sentendomi inquieto, avevo detto al mio capo che avrei iniziato a lavorare a casa. Stavo attento, sono uscito solo una sera a cena con mia moglie, ho portato a lavare la macchina e sono andato una volta a fare la spesa. Tutto qua. E poi dei miei conoscenti, delle persone che frequentavo, nessuno si è ammalato". E invece il nemico aveva già colpito. "Ho iniziato a sentirmi male, soffro di faringite e all’inizio non mi preoccupavo, poi la febbre si è alzata, ero diventato inappetente, il 21 marzo sono stato ricoverato, l’esito del tampone è stato chiarissimo". Ha avuto paura? "La paura, glielo confesso, l’ho vista attraverso gli occhi di mia moglie Cinzia, assieme all’amore straordinario che è stata una grande terapia. Ma quando sono stato cosciente, non ho mai temuto di non farcela. Non ho patologie gravi, mi dicevo, al massimo mi ero storto una caviglia". Perché dice quando era cosciente? "Per diciannove giorni sono stato intubato, sedato tutto il tempo. Sognavo, e vedevo cose che voi umani (Linoso ride, ndr): un giorno credevo di essere a Palo Alto, in California, un altro chiuso dentro il negozio di una parrucchiera mia cliente. In realtà ero in terapia intensiva, trattato con professionalità e umanità eccezionali". Di quello si rendeva conto? "Assolutamente. Una psicologa mi ha chiesto, giorni fa, cosa mi ha tolto il Covid. Ho risposto che mi ha tolto sessanta giorni con i miei cari e i miei amici, ma mi ha regalato una carica di affetto che non si può misurare, a iniziare da chi nei reparti lavora mettendoci innanzitutto il cuore". Qual è stato il momento più difficile? "Quando, entrando in Terapia Intensiva, una dottoressa mi ha chiesto di togliermi la fede matrimoniale. E’ stato come se mi chiedesse di staccarmi dalla vita". E il più bello? "Quando, finalmente stubato, ho riacceso il telefonino e ho trovato 1146 messaggi su Whattsapp. Dal mio gemello ideale ‘Kappe’ Castellazzi ai contradaioli, dai colleghi ai clienti. C’era anche il suo, posso dirlo?". L’amicizia non è l’idrossidoclorichina, e ancora non funziona da vaccino, purtroppo. "Ma mi creda che per chi, come me, ha ancora davanti un percorso lungo per riprendere a pieno ritmo, è fondamentale. Mi sono stati vicine, e amiche, persone che neppure conoscevo. E anche qualcuno che pensavo essere un rivale di Palio". Mondo nel quale lei è stimato, oltre i confini del Rione biancoazzurro. "Me ne sono reso conto anche in ospedale. Dal dottore ex tamburino di Santa Maria in Vado, che mi trattava con un garbo che mai si riserverebbe a uno di ‘Sambe’, al chirurgo Gabriele Anania di San Giacomo, che si bardava da astronauta e veniva sulla soglia della stanza. Un giorno gli ho chiesto se passava perché sapeva che ero spacciato, mi ha risposto che l’erba cattiva non muore mai". Ora fisicamente come sta? "Sono ancora molto debole, da 130 chili che ero, adesso sono 104, e a forza di mangiare cibi cremosi calerò ancora". Una bella dieta, non c’è che dire. "Gliene posso consigliare di migliori. Comunque mi riprenderò, garantisco". A proposito di consigli, cosa direbbe a chi, mentre lei è alle prese con il Covid, si comporta come se il rischio di contagio non esistesse più? "Quando vedo certi incoscienti, mi arrabbio. Perchè qui in ospedale ci sono ancora persone che non sanno se ce la faranno, e molti purtroppo non ce l’hanno fatta. Chi minimizza sbaglia: questo virus è un nemico subdolo, pronto a ghermirti se abbassi la guardia, e senza neppure che tu sappia di doverla alzare. Per questo c’è una cosa che farei imparare a memoria". Cosa? "Che in questa tempesta non siamo soli. Nel bene, quando ci ritroviamo circondati da cure tanto appassionate e da un affetto vasto, e nel male, se pensiamo che un nostro comportamento superficiale può stravolgere la vita degli altri. Io fra pochi giorni tornerò a casa, in teoria sono autoimmune, ma crede che mi metterò ad abbracciare tutte le persone che vorrei?". Si rende conto che uscirà finalmente dall’ospedale nel giorno, venerdì 29, in cui in teoria avrebbero dovuto esserci le prime prove dei cavalli in piazza Ariostea? "Non è una coincidenza. Perchè anche se le corse sono state rinviate, e chissà se si svolgeranno quest’anno, dopo aver vinto la mia battaglia contro il Covid tornerò a vincere il Palio con San Benedetto".