Willy Branchi omicidio, due fratelli di Goro tra gli indagati

Il caso del 1988 si arricchisce di nuovi particolari sull’identità delle persone coinvolte

Il fratello di Willy Branchi piange sulla sua tomba

Il fratello di Willy Branchi piange sulla sua tomba

Ferrara, 28 giugno 2019 - La ‘motorella’ potrebbe essere la chiave di tutto. E a bordo della stessa, con il corpo agonizzante (o già morto) di Willy Branchi, potevano sedere i due attuali indagati per omicidio, iscritti a maggio dal pubblico ministero Andrea Maggioni. Un’indagine, quella che sta cercando di portare alla luce gli assassini del diciottenne di Goro , trovato nudo e con la testa tumefatta lungo l’argine del Po all’alba del 30 settembre 1988, che continua ad andare avanti contro tutto e tutti. Anche contro certi attacchi del paese.

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Argine. C’è un’Apecar parcheggiata davanti al cartello di Goro in un pomeriggio dove il sole e l’afa fanno registrare 39 gradi. Giugno 2019, sono le 15 del 25. Tra i fiori che abbracciano il cippo in memoria di Willy - tra incuria ed erba alta - c’è un biglietto scritto in stampatello: ‘Ciao Willy, verrà fuori la verità prima o poi’. «La verità – dice un barista – sarebbe meglio venisse fuori per tutti. Tutta Italia ci dà degli omertosi...». Ad oggi, sul registro degli indagati con l’accusa di falso, ci sono ben otto persone, una già a processo. Tra loro c’è don Tiziano Bruscagin - che con le sue parole al Carlino nel 2014 permise la riapertura dell’inchiesta - il quale deve rispondere pure di calunnia. Poi ecco l’ipotesi di reato più importante, quella di omicidio, la prima contestata dopo quella a Valeriano Forzati nell’88, il quale fu prosciolto. Le iscrizioni sono due e, da indiscrezioni, riguarderebbero fratelli di Goro. A loro Procura e Nucleo Investigativo sarebbero arrivati incrociando attività tecnica e testimonianze di oggi e di allora. Non solo.

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Apecar. Gli inquirenti, con il fondamentale aiuto della famiglia Branchi e dell’avvocato Simone Bianchi, sarebbero riusciti ad individuare la Via Crucis del povero Willy. Iniziata in via Buozzi, proseguita in via Mezzano e terminata lungo l’argine, sotto il cartello di Goro. Via Buozzi, innanzitutto: qui il ragazzo sarebbe stato attirato da qualcuno e pestato a sangue. Il sarto Rodrigo Turolla, con parte di casa che sbuca proprio su via Buozzi, raccontò che l’indomani dell’assassinio sentì dire che «Willy era stato caricato» in quella zona. Poi trovò un laccio di una felpa sul suo garage. Via Cervi: qui, in quell’epoca, c’era una stalla con grossi anelli al muro per le mucche. Secondo un altro teste, ad uno sarebbe stato legato Willy, seviziato e colpito con una pistola da macello. In quei frangenti potrebbe essere morto, ecco dunque il bisogno di sbarazzarsi del cadavere. Terza scena: il ritrovamento sull’argine. Da via Mezzano, il percorso è di pochi metri, attraverso una vecchia stradina sterrata. Ma con il Po a due passi, perché lasciarlo lì?

Due le ipotesi: un avvertimento per altri. O, per liberarsene in fretta, terrorizzati dall’essere scoperti. Quella notte, qualcuno sentì un cane abbaiare e correre nervosamente. Proprio l’animale potrebbe aver messo in fuga gli assassini, costretti a gettare il corpo dal cassone dell’Apecar. Un mezzo, utilizzatissimo ancora oggi da quelle parti, che torna alla ribalta grazie alle parole intercettate tra il sarto e don Tiziano: «Una donna - disse il primo - è venuta a casa a dire che lui è stato caricato... Su una motorella...». L’Ape, appunto, unico mezzo che potrebbe aver percorso lo stradello da via Mezzano.