"Così Cibotto mi avviò all’editoria. Rese il Po universale, fu mio maestro"

Elisabetta Sgarbi ricorda lo scrittore cofondatore del Premio Estense. Aveva 92 anni. Tanti i ricordi e i messaggi di cordoglio arrivati da tutto il Paese

AMICI Elisabetta Sgarbi con Gian Antonio Cibotto (archivio)

AMICI Elisabetta Sgarbi con Gian Antonio Cibotto (archivio)

Ferrara, 14 agosto 2017 - RACCONTAVA il Polesine e le sue genti, ironizzava sugli ‘imbellettuali’. Scrittore, giornalista, critico letterario, fondatore di molti premi letterari, tra cui il Campiello e il Premio Estense. Questo era Gian Antonio ‘Toni’ Cibotto, scomparso sabato a Rovigo all’età di 92 anni. A ricordarlo, Elisabetta Sgarbi, editrice della Nave di Teseo. La loro vita è infatti intrecciata. Si conobbero, come racconta la sorella di Vittorio Sgarbi, a una conferenza sulle Ville Venete. «Mi colpirono la sua voce, i suoi modi, la sua intelligenza. Mi accostai a lui, dichiarando la mia passione letteraria. Ero studentessa in Farmacia, ma sentivo che non era quella la mia strada».

E poi cosa è successo?

«Mi prese a cuore, veniva a trovarmi a casa, piombava a Ro Ferrarese con la sua Mini Minor bianca gridando Ofelia, indicando così la mia condizione infelice. Mi suggerì allo Studio Tesi di Pordenone, ricercata casa editrice, con un bel catalogo. E poi alla Bompiani, dove Mario Andreose (ora nella squadra della Nave di Teseo, ndr) stava cercando un ufficio stampa. Così iniziò la mia vita editoriale».

Qual è la grandezza di Cibotto?

«Ha scelto un mondo da amare e in cui vivere e da raccontare. Ha reso quel luogo universale, teatro del destino di ogni uomo, senza snaturarlo, ma salvandolo nella sua irripetibile bellezza. Ripeto ha scelto (se si può chiamare scelta stare in un luogo che si ama) di percorrerlo continuamente come fosse l’intero mondo. Eppure aveva conosciuto la società letteraria romana, fiorentina, ma lui era fatto di fiume. Non vorrei però che si cadesse nell’equivoco di pensare che sia uno scrittore locale perché è legato a un luogo, il fiume. Era ossessivamente legato al Po, è uno scrittore universale».

Lo ritiene da sempre uno dei suoi maestri. Perché?

«I veri maestri non sono distinti dalla nostra identità. Si è quello che si è, grazie a quelli che si sono incontrati. Cibotto è nella mia vita indistinguibile da quello che sono. Certo, la sua ironia è cristallina dentro di me e alcune sue espressioni sono rimaste nel mio linguaggio: imbellettuali per dire dei sedicenti intellettuali, e a ognuno un cavallo a dondolo per dire dei premi agli autori. E lui di premi ne sapeva essendo stato tra i fondatori del Premio Campiello, segretario generale del Premio Estense, animatore assoluto della vita culturale del Veneto e giurato del Premio Strega fino a pochi anni fa».

Anche molti suoi lavori sono legati alle terre del Po. Gli ha mai fatto vedere un suo film in anteprima?

«Ha visto nascere la mia passione per il cinema. Si compiaceva del mio amore per il fiume. Lui aveva conosciuto ed era stato amico di Rossellini, con cui aveva progetti importanti proprio sul Polesine». 

A quali opere di Cibotto è più legata?

«Scano Boa e Cronache dell’alluvione. Le poesie di Bassa marea. Poi ci sono dei libri a cui sono legata anche perché ne ho visto la nascita, ne ho seguito la stesura: Stramalora ha in copertina un mio ritratto, opera di Giorgio Tonelli. La coda del parroco ha un dipinto di Segantini che avevamo scelto insieme».

Un autore come Cibotto cosa può dare, secondo lei, alle nuove generazioni?

«L’amore per un luogo, il fiume, che si trasforma in Letteratura. Che vuol dire tentare, attraverso la scrittura, di rendere resistenti al tempo emozioni, sguardi, paesaggi, persone, locande. Leggere Scano Boa oggi ha il gusto di un’epica. E non ha tempo».

Un aneddoto per salutarlo un’ultima volta.

«Era certo che avessi nel cassetto un manoscritto di mie poesie. Non c’era verso di fargli credere che invece mi erano state rubate dalla macchina davanti alla Villa Morosini di Scamozzi, allievo di Palladio, a Polesella».