La lettera rubata del duca D’Este: sparita dall’Archivio di Stato e ricomparsa in un’asta a Londra

La missiva inviata nel 1524 da Alfonso I al suo commissario in Toscana Ludovico Ariosto. A luglio arriva nelle mani dei carabinieri. Indagini in corso sul furto e sul rientro in Italia

Il viaggio della lettera rubata del Duca d'Este

Il viaggio della lettera rubata del Duca d'Este

Ferrara, 10 marzo 2023 – Dal magico Castello di Ferrara era partita alla volta della Garfagnana per raggiungere Ludovico Ariosto, all’epoca, il 1524, commissario ducale in Garfagnana. E’ poi stata rubata negli anni Settanta dall’Archivio di Stato di Massa Carrara, ’volata’ fin Oltremanica, a Londra, per poi tornare in Patria, a Verona, e ieri il rientro a casa sua: l’Archivio di Stato di Massa Carrara. Chissà se in questo peregrinare ha viaggiato romanticamente anche in una bottiglia. Non lo sapremo mai, forse.

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Certo è che la lettera autografa vergata su carta ingiallita dai secoli e dai lunghi passaggi di mani, scritta da Alfonso I D’Este di chilometri ne ha macinati. E’ stata protagonista di un’ incredibile avventura conclusa con le indagini dei carabinieri del Nucleo tutela e patrimonio di Venezia, che ieri mattina l’hanno riconsegnata nelle mani della direttrice dell’Archivio di Stato toscano, Francesca Nepori.

È lì la sua casa, insieme alle altre 116 missive che il duca Alfonso I e il suo commissario, lo scrittore e diplomatico emiliano Ariosto si erano scambiati all’epoca, molte sulla difficile gestione della Garfagnana, zona di briganti, "territorio ostile e difficile", come riportato nella lettera.

Il ritrovamento

"A luglio è stato intercettato il bene inalienabile e di proprietà dello Stato, che poi è stato sequestrato – ha spiegato il maggiore Emanuele Meleleo, del Nucleo di Venezia del Comando tutela del patrimonio culturale – perché un commerciante di Verona ne è venuto in possesso e si è messo in contatto con l’Archivio di Stato di Modena (dove sono conservati reperti e beni appartenuti ai duchi d’Este, ndr ) mostrando la lettera precedentemente acquistata in un’asta on-line. Da qui è iniziata la catena degli accertamenti che ha portato a oggi: cioè a riconoscere la lettera come autentica e il ritorno qui a Massa Carrara, nell’Archivio che l’aveva custodita per secoli e secoli".

"Mi complimento con i carabinieri e con le direzioni degli Archivi di Stato interessate – ha commentato il direttore dell’Archivio di Ferrara, Davide Guarnieri – è sempre una soddisfazione quando riusciamo a raggiungere questi risultati e a riportare a casa beni così importanti per il nostro patrimonio storico-cultura. E un po’ di sana invidia per chi quella lettera la può conservare".

La sparizione

La missiva era scomparsa dall’Archivio di Stato di Massa Carrara attorno agli Settanta, rubata da chi al momento non ha un volto noto alle cronache: venduta a chissachi per poi tornare, dopo un giro immenso, in Italia, a Verona, dopo l’acquisto da parte di un antiquario veronese a un’asta battuta a Londra. Proprio lui ha innescato le indagini dei carabinieri Tutela del patrimonio, i quali da luglio scorso hanno ricostruito i passaggi e soprattutto insieme alla Direzione generale archivi e i relativi uffici periferici del Ministero della Cultura, sono risaliti all’autenticità della lettera manoscritta del duca, inviando poi il tutto alla Procura della Repubblica di Verona che sta conducendo l’indagine per risalire alle responsabilità del furto e dei vari passaggi di mano, fino all’antiquario veronese. Indagine su cui c’è il massimo riserbo.

Il contenuto

Nella lunga missiva Alfonso I D’Este rispondeva ad Ariosto che quindici giorni prima, il 30 gennaio 1524 si era lamentato della difficoltà di amministrare quel territorio ostile e di briganti. Lamentando anche la "contraddittorietà della risoluzioni ducali circa il suo operato, come nel caso di un’assoluzione concessa a ser Tomaso", scriveva il commissario Ariosto, facendo anche un lungo elenco degli omicidi commessi nel suo territorio in un breve lasso di tempo. In risposta, il duca, nella famosa lettera replicava sostanzialmente confortando il commissario, e ampliando i suoi poteri d’azione. Confermandogli, in sostanza, la piena fiducia. Perché proprio questa delle 117 lettere scambiate tra il duca e il commissario sia stata rubata, resta un mistero.