Vittorio Sgarbi e il suo libro sul Novecento

Il critico d'arte racconta il nuovo volume della serie Il Tesoro d’Italia

Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi

Farrara, 22 novembre 2018 - Un libro nel genio inquieto del Novecento, che "procede con lentezza, perché dentro c’è tutto il piacere di andare a pescare gli artisti marginali, gli invisibili". Vittorio Sgarbi torna nelle vesti di divulgatore d’arte con ‘Il Novecento’ (La nave di Teseo editore), nuovo volume della serie Il Tesoro d’Italia, appassionante viaggio nella storia e nella geografia dell’arte italiana.

Salutato Giovanni Boldini nello scorso volume, come inizia il suo viaggio nel Novecento? "Con un '900 non sempre ufficiale. Ci sono i grandi classici, il Futurismo, la Metafisica e il Novecento inventato da Margherita Sarfatti, artista amante del duce (proprio ora le sue opere sono in mostra al Museo del 900 a Milano), ma c’è anche la voglia di ripescare gli artisti dimenticati, gli eccentrici, quelli invisibili, le cui opere sono finite nei depositi. Ho voluto far affiorare le storie degli artisti marginali, alternandole a quelle delle personalità che hanno avuto più fortuna. Ci sono Athos Casarini e Duilio Cambellotti, c’è il vero Andreotti del Novecento, che non è Giulio, ma Libero".

Franco Cordelli ha curato la prefazione del libro. È vero, come racconta, che il libro è una forma di diario? "Non sbaglia. È un libro che procede con lentezza, pieno di incontri e di opere scoperte, ritrovate. È un volume che arriva quasi fino al secondo dopoguerra con Guttuso, passando prima dai valori del fascismo. Completo arrivava a novecento pagine, l’abbiamo dovuto dividere in due parti".

Dal Futurismo per divagare in un ricco passato recente? "C’è il Futurismo e la sua rottura con il passato, c’è l’identità nuova di un’arte non più confinata a livello locale, come quella dei Macchiaioli, che era emersa come reazione all’Unità d’Italia. Il Futurismo diventa espressione del mondo, parte dall’Italia ma diventa fenomeno internazionale".

C’è anche un po’ di Ferrara? "In questo caso, più che Ferrara c’è Cento, con Aroldo Bonzagni, che firmerà la prima edizione del Manifesto dei pittori futuristi nel 1910, anche se poi romperà con il Futurismo nel 1916. Ma Ferrara riappare ancora".

Quando? "Ferrara riappare come icona, con Giorgio de Chirico e il movimento più importante del tempo, la Metafisica – che è Ferrara stessa – con Carrà, Morandi, De Pisis. Poi su Ferrara cala nella nebbia. Non ne uscirà più, tanto meno oggi. De Chirico mette nel suo manifesto – Le muse inquietanti – il Castello di Ferrara, città che torna a essere al centro del mondo, in una sua immagine turistica. Siamo nel periodo tra il 1913 e il 1918".

Cosa rimane del Novecento? "Nel ’900 il centro del mondo si trova a Parigi e a New York, ma l’Italia, in realtà, continua ad avere una sua dimensione universale. Il vento dell’arte tocca l’Italia prima del fascismo e ritorna dopo la Seconda guerra mondiale. Nel mezzo si disperde, molti artisti lavoreranno in clandestinità, Morandi cercherà di evitare ‘la bufera’, come Moravia chiamava il fascismo. Tutti gli artisti contemporanei hanno dovuto fare i conti con un pesante Novecento".

Anja Rossi