Ferrara, 28 aprile 2013 - «NON SO COSA sia meglio fra andar dentro e star fuori». Il ‘messaggino’ delle 10,24 al giornalista che chiede un’anticipazione è oggettivamente pretattico: ieri a quell’ora, Dario Franceschini sapeva già che di lì a poco sarebbe diventato ministro. Con una delega, come afferma pochi minuti dopo l’assegnazione della delega ufficializzata alle 17, «complessa e forse rognosa».

Rapporti con il Parlamento e, per la prima volta, coordinamento dell’attività di governo.
«Significa tenere assieme la maggioranza ed al tempo stesso lavorare per cementare un esecutivo che è di cambiamento e al tempo stesso d’emergenza. Una bella sfida, tra l’altro Letta ha cambiato appositamente il profilo del dicastero».

Una follia alla... Ignazio Rando, protagonista del secondo dei suoi tre romanzi. Ma c’è chi parla di compromesso, per questo governo con il Pdl, o addirittura di inciucio. Ed anche nel Pd qualcuno già recalcitra, in vista del voto di fiducia.
«La cosa fondamentale da chiarire è che si apre una situazione transitoria e straordinaria, per il Paese. Siamo avversari che collaborano, dobbiamo essere subito operativi e fare cose vitali, dal rifinanziamento degli ammortizzatori sociali alla gestione della crisi e del quadro economico, visto che a luglio aumenta l’Iva. Poi c’è la riforma della legge elettorale. Non c’è confusione e commistione politica, ci sono urgenze e su queste ci mettiamo la faccia. Per quanto riguarda la fiducia sono certo che tutti siano consapevoli dell’emergenza che viviamo».

E’ stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei governi D’Alema e Amato, dal 1999 al 2001: ora che indossa finalmente i panni di ministro, sente una sorta di riconoscimento per la sua attività politica?
«Mi creda, prevale sinceramente la preoccupazione. Parlando soltanto di riconoscimenti, ho avuto cariche gratificanti ad iniziare da quella di segretario nazionale del Partito Democratico, e non nego che anche questa nomina a ministro lo sia. Ma ora ci sono operazioni difficilissime da compiere e da spiegare, ed ho dovuto subito ripiegare vecchi sogni di gloria nel cassetto...».

Non è un mistero, le sarebbe piaciuto diventare ministro della Cultura. Anche mentre ieri circolavano voci di dicasteri come la Giustizia o lo Sviluppo.
«Non in questo momento, non con l’amico Enrico Letta. Siamo amici da ragazzi, abbiamo fatto tanti percorsi comuni, qualche giorno fa mi ha detto: ‘io mi sono sempre occupato di economia, devi darmi una mano’. Sapevo cosa significava. E sapevo che non potevo dirgli di no».

Stamattina giurerà nelle mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il 21 febbraio 2009, davanti al muretto del Castello, ha giurato sulla Costituzione tenendo la mano ad un altro Giorgio, suo padre. Che sensazione prova?
«Posso risponderle con un messaggino, come stamattina quando mi incalzava per sapere se sarei entrato nel governo?».

Sì, vada.
«:)»

di Stefano Lolli