'Lei mi parla ancora' film, Avati: "Nino Sgarbi potrei essere io"

Il regista bolognese alla presentazione della pellicola girata nella nostra provincia. "Racconto affetti che resistono al tempo, qualcosa di anacronistico se pensiamo alle relazioni odierne"

'Lei mi parla ancora', Pupi Avati durante le riprese del film

'Lei mi parla ancora', Pupi Avati durante le riprese del film

Ferrara, 6 febbraio 2021 - "Nino Sgarbi, sono io". Una storia d’altri tempi, immortale, un’illusione – l’amore, l’amare – che si concretizza e dura una vita. "Una storia esagerata", la definisce così Pupi Avati Lei mi parla ancora', la sua ultima storia, quella ispirata all’omonimo romanzo di Giuseppe Sgarbi, detto Nino. Il padre di Elisabetta e Vittorio Sgarbi lo scrisse sul finire degli anni, per raccontare una storia d’amore immortale, quella vissuta con la sua compagna di una vita, Caterina ‘Rina’ Cavallini. Da lunedì – in anteprima assoluta, presentato ieri – il film di Avati sarà trasmesso su Sky Cinema, alle 21 e poi on demand.

Dopo il signor Diavolo, Pupi Avati racconta una storia d’amore "di quelle che ora vengono a mancare, nel nostro sistema occidentale – spiega –. È come se ci fosse una sorta di pudore nel parlare della propria vita e della propria morte, a differenza di quel ‘per sempre’ che era così fondamentale negli anni Cinquanta". Così l’amicizia, ma anche le cose, "erano per sempre anche loro". Anche se la ragione poi riportava coi piedi per terra, "almeno ci volevi credere". Il film tratta questi temi, e l’affettività è il fil rouge della storia. "Una storia totalmente anacronistica, quella di pensare di ‘stare con lei per tutta la vita’, così distante dalla precarietà delle relazioni e degli affetti odierni".

A chi gli chiede a chi si rivolge questo film, Avati risponde: "Penso a tutte le età, dagli 8 agli 87 anni, l’età cui arriverò io" pronostica un po’ sornione, senza abbassare mai la guardia tra smorfie, sospiri, emozioni, mentre i ‘suoi’ attori prendono la parola e parlano del film. Collegati di cono Renato Pozzetto e Fabrizio Gifuni, Stefania Sandrelli e Isabella Ragonese, Chiara Caselli, Lino Musella, Nicola Nocella, Serena Grandi. Un film che ha "avuto un effetto terapeutico su tutti noi – dice il regista bolognese – alla fine eravamo tutti migliori".

Il film parla anche della capacità di saper sognare, per Avati la base per vivere. "Il ‘per sempre’, dicevo, non è più contemplato. Riproporlo in pellicola è stato un mio dovere, non potevo esimermi dal farlo". E riprende: "Se mentiamo a noi stessi, se siamo in grado di illuderci, se riusciamo a sognare, se non facciamo troppi conti con la vita, allora viviamo. Quando vendevo bastoncini di pesce alla Standa, non avrei mai immaginato di fare cinquantadue film – racconta Avati, ora ha 82 anni –. Adesso è possibile, e il sogno è diventato molto più grande". Un film che in parte sembra autobiografico. "C’è molto di me in questo film – dice Avati – vivo da 55 anni con la stessa donna con il panico di dover gestire la sua scomparsa. In Nino Sgarbi mi ci ritrovo, sì, forse quel Nino Sgarbi del film, sono io".

Non manca l’affetto degli attori verso il regista, tra battute, scambi, sorrisi. Basta vederli, Lei mi parla ancora emoziona chi ne ha fatto parte. È anche il film in cui Renato Pozzetto interpreta un ruolo drammatico. "Mi sono innamorata di te" sorride una radiosa Sandrelli. "Perché non avevi niente da fare" replica lui citando Tenco, improvvisando. L’illusione del cinema.