E' morto Titta Rota, al timone della Spal negli anni Ottanta

Guidò i biancazzurri nel biennio 1980-82. Era il ‘mister delle baruffe’: un tecnico sanguigno e dalla grande umanità. Il ricordo

Titta Rota allenò la Spal negli anni 1980-82 (foto Alive)

Titta Rota allenò la Spal negli anni 1980-82 (foto Alive)

Ferrara, 11 luglio 2018 - Si è spento ieri mattina nella sua Bergamo Battista ‘Titta’ Rota, prima terzino della Spal nella stagione 1960-61, poi allenatore nel biennio 1980-82. Avrebbe compiuto 86 anni il prossimo 18 luglio.

Buon vecchio Titta, quante baruffe! Tante, troppe, calienti al punto da rimanere scolpite nella memoria più delle sue partite, inizialmente promettenti e poi culminate in un esonero con annessa retrocessione in serie C. Terzino destro in coppia con Bozzao in una stagione nei primi anni Sessanta, il Titta tornò da allenatore, voluto da Biagio Govoni al posto di un idolo come Mario Caciagli. La sua partenza fu sparata: nel girone d’andata del primo campionato mostrò una Spal brillantissima e reattiva, con i vari Gibellini, Cavasin, Giani, Danilo Ferrari e Rampanti. La portò a Torino per i quarti di Coppa Italia contro i granata, e a competere per la serie A con big come Milan e Lazio, appena retrocesse causa scommesse. Ma il Titta-boom finì a quel giro di boa. Il ritorno fu tutto un arrancare, con la società che sopra la sua testa utilizzava risultati compiacenti per fare - e poi sbagliare - mercato. Rota subìva, stringeva i denti, e intanto litigava roteando le braccia come pale di mulino.

Quale baruffa ricordare più di altre? Difficile scegliere. Quelle coi giornalisti furono le più ovvie e scontate, ormai un piatto del giorno, fino a che Giordano Magri del Carlino ne ritenne una poco fisiologica al punto da querelare il Titta in tribunale, costringendolo a versare una somma in beneficenza. Un’altra a Cesena contro i bianconeri di Bagnoli resta indimenticabile: la Spal perse al 90’ e il Titta fu tutto un dire e non dire, un mordere il freno dalla rabbia, perché evidentemente in campo ci si era accordati per un risultato che non scontentasse nessuno e qualcosa era andato storto, ma lui non lo poteva dire. A Verona riuscì a rimediare 13 giornate di squalifica per intemperanze. Un’impresa.

Il dramma vero fu quando il Titta iniziò a rompere coi giocatori del gruppo storico di Caciagli, ottenendone l’esilio: nel suo secondo anno troppi cavalli stanchi e liti interne spinsero la Spal in C, avviandone il lungo oscuramento. Ma lui, il Titta, mai ammise di essere retrocesso: «Mi hanno esonerato nel finale, è stato Tomeazzi ad andare in C, io mi sarei salvato».

Mitico, incommensurabile Titta. Un grosso personaggio, e non per la pur rispettabile mole, come avrebbe confermato a fine carriera da commentatore delle sorti della sua Atalanta. Oggi, allenatori così non esistono più, e soprattutto, non esistono più figure così. E se ne avverte la mancanza. Sì, perchè 36 anni dopo, di uno come il Titta - che altrove vinse parecchio, peraltro - non si può dimenticare anche l’umanità che sottendeva alle sanguigne liti, la simpatia che emanava quando non era in bestia, il sudore che sprizzava nelle argomentazioni, soprattutto quando da commentare c’era una sconfitta. Era collerico, sapeva far paura, ma restava un buono. In questo calcio di conferenze distanti e stereotipate, un corpo a corpo come quelli col Titta mancherà sempre, a tutti. Che la terra gli sia lieve.