Forlì, multe con l’etilometro, le scuse più assurde di chi fa ricorso

L’Asaps interviene dopo il caso dei due agenti scagionati perché l’apparecchio non era stato revisionato

Agenti di polizia stradale con l’etilometro

Agenti di polizia stradale con l’etilometro

Forlì, 6 maggio 2018 - Due agenti della polizia stradale sono stati scagionati al termine dell’udienza preliminare dopo essere stati accusati di abuso d’ufficio. Nel 2015 i due poliziotti, rilevando un’incidente sulla via Emilia, controllano la conducente di un’automobile coinvolta che, sottoposta ad etilometro, risulta positiva, con valori quattro volte superiori al limite di legge (che è di 0,5 grammi di alcol per litro di sangue).

La donna non ci sta e a processo il suo legale dimostra, con una perizia, che non era stata effettuata la revisione annuale dell’etilometro. La donna viene assolta e chiede i danni agli agenti, indagati per abuso d’ufficio (la procura aveva poi chiesto al giudice il ‘non luogo a procedere’, dunque di scagionarli). Il magistrato riconosce che i poliziotti si sono comportati correttamente e che non spettava a loro controllare gli apparecchi. Per il giudice «non sono loro i responsabili del disfunzionamento».

Sulla vicenda interviene l’Asaps, associazione con sede a Forlì, in via Consolare 1, ma che opera a livello nazionale, che definisce la vicenda «kafkiana». «In Italia – spiega il presidente Giordano Biserni – siamo campioni olimpici di ricorso ai giudici di pace per le sanzioni amministrative e ai giudici in genere. Molti ricorsi sono basati sulla mancata revisione annuale dell’etilometro e questo è comprensibile, ma di qui ad arrivare a mettere sotto accusa gli stessi agenti per averlo utilizzato senza che fossero stati informati della mancata revisione è assurdo e preoccupante».

Ed è proprio da tutta Italia che all’associazione arrivano segnalazioni, le più improbabili, delle scuse utilizzate dagli avvocati in tribunale per giustificare i propri clienti risultati positivi all’etilometro (valutazione poi contestata nelle aule di giustizia).

«Era freddo, l’etilometro non poteva funzionare in inverno», «c’era troppa umidità nell’aria, intorno al 90%, l’alcoltest non vale (una sentenza del tribunale di Rovigo ha ammesso questa scusante), «il mio cliente ha usato collutorio, per l’igiene dentale», oppure «ha usato medicinali», «non è riuscito a soffiare causa pseudo enfisema polmonare». Ancora: «la colpa è degli acidi che vengono utilizzati per smacchiare i vestiti e pulire i macchinari delle lavanderie. Le sostanze mandano in tilt l’etilometro». Guardacaso, in quell’occasione, la moglie dell’ubriaco era titolare di una lavanderia.

C’è chi ha tentato di aggrapparsi al fatto che l’etilometro fosse sporco, chi ha dato la colpa al diabete fino al cestista che aveva alzato il gomito. «Troppo alto: assolto» (questo episodio non è accaduto a Forlì). C’è chi la butta anche sull’aspetto emotivo: «Il mio cliente non è riuscito a soffiare: quando vede la polizia si emoziona...».