Predappio e la legge sulla propaganda fascista. "Gadget fuorilegge? Sono innocui"

Polemiche sul giro di vite della legge Fiano. E il sindaco porta avanti il progetto di trasformare in un centro studi l'ex Casa del Fascio

Pierluigi Pompignoli, titolare di un negozio di gadget fascisti a Predappio (Fotoest)

Pierluigi Pompignoli, titolare di un negozio di gadget fascisti a Predappio (Fotoest)

Predappio (Forlì-Cesena), 14 settembre 2017 - Questa volta i negozi di gadget del Duce in Italia, compresi quelli di Predappio, sembrano correre davvero il rischio chiusura. Infatti, se la legge Fiano approvata alla Camera sul reato di propaganda fascista e nazifascista, anche attraverso la diffusione e vendita di gadget, fosse approvata definitivamente al Senato, i tre negozi di Predappio che da decenni commerciano gadget del Duce e di Hitler dovrebbero chiudere i battenti.

E se restassero aperti, Predappio, città natale di Benito Mussolini che ne custodisce la tomba nella cripta del cimitero di San Cassiano, rischierebbe di diventare città abusiva?

Il sindaco del Pd, Giorgio Frassineti, taglia corto: 'Il sindaco dovrebbe far rispettare le leggi, come si fa con i vaccini per i bambini che vanno a scuola'. Poi precisa: 'Il fascismo è un fatto storico e non si cancella con una legge. Bisogna fare, invece, grandi investimenti culturali per spiegare a tutti, in particolare ai giovani, le cause per cui è sorto e si è sviluppato nel Ventennio quel regime totalitario'.

A questo proposito il sindaco ha già un progetto pronto e due milioni di euro per trasformare l’ex Casa del Fascio di Predappio (2700 metri quadrati di superficie su tre piani) in ‘Centro studi del primo Novecento’, con biblioteca, spazi museali e percorso espositivo. Conclude il primo cittadino: 'I negozi di gadget finora hanno fatto propaganda, mentre noi proponiamo luoghi per riflettere su che cosa è stata la storia nazionale ed europea del primo Novecento, con l’approfondimento di storici e docenti universitari'.

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Per Franco D’Emilio, già candidato a sindaco di Predappio per una lista civica appoggiata dal centrodestra e studioso del Ventennio nell’archivio di stato di Forlì- Cesena, «la legge lascia perplessi molti, perché non può commettere violenza chi compra un portachiavi con la faccia del Duce». E aggiunge: «I negozi vendono anche libri e non solo manganelli».

 Il titolare del negozio ‘La Madonna del Fascio’, Domenico Morosini, responsabile del ‘Museo dei Ricordi’ a Villa Carpena (la casa dei Mussolini alle porte di Forlì), si fa interprete di «un’esigenza nazionale », come «dimostrano le 10mila firme dei visitatori lasciate in agosto nel registro sulla tomba del Duce». E aggiunge: «Quelli di sinistra, con l’ambiguità e la disunione della destra, possono chiudere i tre negozi di Predappio e altri in giro per l’Italia, ma non potranno eliminare la fama del Duce».

È curioso che il negozio ‘La Madonna del Fascio’ sia gestito dalla segretaria di padre Giulio Tam, il sacerdote lombardo lefebvriano, che fino a qualche anno fa guidava i cortei nazionali alla tomba di Mussolini, ora organizzati da Forza Nuova nei tre anniversari: marcia su Roma, nascita e morte del Duce. Pierluigi Pompignoli, titolare dal 1983 del negozio di gadget ‘Predappio Tricolore’, che dà occupazione ai tre figli e a due dipendenti, trova «ingiusta e anacronistica» la legge, «perché il fascismo non torna mica perché s’indossa una maglietta con la faccia del Duce, ma per motivi socio-politici». A chi gli fa presente che nel suo negozio si vendono svastiche e manganelli, Pompignoli precisa: «Svastiche se ne vendono 10 l’anno e i manganelli sono di fragile legno di pioppo. Sono simboli, souvenir, un po’ come a Roma per i pellegrini che acquistano le immagini del Papa oppure a Lourdes per chi si porta per devozione un’immagine della Madonna. Mica vendiamo mitra, kalashnikov o bombe a mano».

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Infine, la titolare del terzo negozio ‘Ferlandia’, Valeria Ferrini Casadei, fa rispondere al telefono da una dipendente: «La signora è in ferie, anche se stanno telefonando in tanti da tutt’Italia, preoccupati che il negozio chiuda».