Virus, mortalità +16% già alla prima ondata

Lo studio di Antares riferito al trimestre marzo-maggio mettono in evidenza un picco di decessi rispetto ai 5 anni precedenti

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di Fabio Gavelli

I tre mesi fra marzo e maggio scorso hanno portato un aumento di mortalità del 16% nel territorio provinciale, rispetto alla media dello stesso trimestre nei 5 anni precedenti. La ricerca, basato sui dati dell’Istat, è stata realizzata dal centro studi Antares, il centro di ricerche economiche e sociali convenzionato con l’Università di Bologna.

L’indagine ha preso in esame lo scostamento fra il numero delle persone decedute durante la prima fase della pandemia, confrontandolo con la media del quinquennio 2015-2019. In Emilia-Romagna l’aumento è stato superiore, pari al 24%. In attesa di avere i risultati dell’intero 2020, molto più significativi per fare delle analisi, si può notare che le differenze fra i comuni sono piuttosto sensibili.

Fra i centri capoluogo, Forlì registra un +23,5% dei decessi, Cesena il +37,7%. Ma nei paesi l’andamento presenta divari notevoli. Si va dal +121% di Rocca S.Casciano al -72,2% di Portico S.Benedetto nel Forlivese, mentre nel Cesenate Sogliano denuncia un sostanziale raddoppio dei defunti (+96%), a fronte del -29% di Montiano. Fra i comuni più popolosi, Forlimpopoli ha un incremento del 57%, Savignano del 20%, Castrocaro del 7,5%, Meldola addirittura del 72%, Predappio aumenta del 54%. Meno defunti invece a Bertinoro (-21%), Modigliana (-9%) e soprattutto a Dovadola (-37) e a Galeata (-29).

"Il livello comunale non è un fattore che spiega la mortalità in eccesso – dice il prof Lorenzo Ciapetti, direttore di Antares – . Tuttavia è interessante guardare alla distribuzione territoriale per future valutazioni in merito alla vulnerabilità demografica della provincia". In linea di massimo, l’effetto-Covid si è sentito di più nell’area montana che in pianura. Allo scopo di vedere se il contagio si è diffuso di più in alcune zone che in altre, i ricercatori hanno messo in correlazione i dati di mortalità con altri parametri: indice di vecchiaia, presenza di case di riposo, tasso di istruzione, variazione della popolazione. "Nessuno di questi – continua Ciapetti – riesce però a dare spiegazioni esaurienti. Probabilmente ciò che ha inciso di più sono i focolai localizzati e le reti familiari e sociali".

In effetti i casi di Rocca San Casciano e Forlimpopoli, che hanno visto un aumento secco di morti nei 3 mesi della prima ondata e dove sono emersi dei focolai nelle case di riposo, lasciano pensare che i decessi accaduti nelle residenze per anziani abbiano giocato un ruolo statisticamente significativo soprattutto nei piccoli centri, dove i numeri bassi della popolazione sono più sensibili a modeste variazioni.

C’è però un altro punto: non sappiamo quante di queste morti siano da imputare con certezza al Covid, in quanto causa diretta del decesso. È noto infatti, come sostenuto da medici e operatori sanitari, che durante il lockdown di primavera si sono registrati più morti per infarti e che una quota di malati di tumore ha ’saltato’ cure e terapie. "Sì, questo è un elemento molto importante che suggerisce una riflessione per il futuro – continua il direttore di Antares – . Se anche un modello sanitario molto virtuoso come quello romagnolo viene messo a dura prova dalla pandemia, occorre interrogarsi sulla tenuta e l’organizzazione dell’intero sistema, soprattutto alla luce del fatto che gli eventi estremi saranno sempre meno rari nei prossimi anni".