"Forlì zona rossa? Vi spiego perché"

Il direttore dell’Ausl Tiziano Carradori parla di "decisione difficile", ma sottolinea: "Oltre la soglia dei 500 casi ogni 100mila abitanti"

Tiziano Carradori, manager Ausl Romagna, parla con un medico visitando un ospedale

Tiziano Carradori, manager Ausl Romagna, parla con un medico visitando un ospedale

Forlì, 7 marzo 2021 - Indigesta, ancora più della prima segregazione in zona rossa, quella del marzo scorso, quando la speranza che la pandemia fosse definitivamente sepolta dalle pratiche virtuose aveva animato di spirito resiliente le strade vuote e le attività serrate. "Una decisione imposta dai numeri, politicamente difficile, delle cui conseguenze dirette e indirette sulle persone siamo consapevoli". Non indora l’amara pillola del lockdown della Romagna, stretta in zona rossa tra domani e il 21 marzo prossimo, il direttore generarle dell’Asl Romagna Tiziano Carradori, ospite del parlamentare forlivese Marco Di Maio che nella settimanale diretta Facebook, insieme al professor Claudio Vicini, ha fatto il punto sull’emergenza sanitaria indotta dal Covid-19 nella nostra area.

"I contagi – evidenzia Carradori con il supporto dei numeri – a Cesena, Forlì, Ravenna e Rimini corrono più veloci che in altre province della nostra regione, è un’esplosione che continua a crescere con un incremento di oltre il 50% nell’ultima settimana. Lo sbarramento oltre i 500 casi ogni 100mila abitanti ogni due settimane, considerata la soglia di guardia oltre la quale c’è la chiusura, è stato ampiamente superato. Cesena ha toccato i 943 casi, e il Rubicone ha oltrepassato i mille, Rimini gli 873 casi, Forlì i 677, Faenza oltre i 1.100". È cambiata anche la diffusione per fasce di età. "Crollata del 70% la diffusione tra gli anziani e il personale sanitario – evidenzia Carradori – e ciò grazie ai vaccini, il virus corre tra i più giovani, nelle scuole i focolai sono passati da 81 a 159". Poi ammette: "Non è l’ambiente scolastico il veicolo, ma ciò che ci sta intorno, ossia i trasporti, i capannelli, le trasmissione dall’ambito familiare".

In questo scenario l’unico elemento che porta un minimo di rassicurazione – mentre in regione la terapia intensiva è cresciuta del 20% – è l’occupazione ospedaliera da parte dei malati Covid. In Romagna, dove gli ospedali sono in correlazione tra loro, è vietato, pena la crisi del sistema sanitario, andare oltre i 650 posti letto: attualmente ne sono occupati 562 di cui 40 dedicati alla terapia intensiva. Erano 24 una settimana fa.

Ma chi finisce in ospedale? "Chi ha problematiche respiratorie tali da rischiare uno scompenso che potrebbe rivelarsi letale in pochi minuti", spiega il professor Vicini che fa anche il punto sulle varianti. "Laddove non ci sono vaccini e i contagi tra le persone sono alti le mutazioni sono più facili e aumentano di potere, è una legge della natura". Inevitabile nell’ambito del dibattito coordinato da Di Maio affrontare il discusso tema della carenza dei vaccini: "Siamo un esercito senza munizioni – dice Claudio Vicini – ed è un problema che solo la politica può risolvere". Tant’è che si guarda senza disapprovazione ai Paesi come Austria e Danimarca che si sfilano dagli accordi con l’Europa e vanno a cercare vaccini altrove, magari in Israele.

"Noi non possiamo fare nulla – dice Carradori – possiamo solo attendere, anche se il vaccino, insieme al contenimento dei contagi, è l’unica arma per uscire da questa situazione. Oggi abbiamo una potenzialità di 6mila vaccini al giorno che, però, è sfruttata meno del 90%. Abbiamo anche dovuto chiedere dosi in prestito ad altre aree meno pressate dai contagi". Ma c’è una notizia attesa: "In aprile dovremmo ricevere un arrivo consistente di vaccini e per questo abbiamo già programmato una intensificazione della disponibilità di personale sanitario, poiché mai vorremmo trovarci con le dosi e nell’impossibilità di inocularle a causa della mancanza di operatori".