La bottega del macellaio era in via Ravegnana a un centinaio di metri prima del bar del Bersagliere e di fronte alla bottega del carbone. La carne era un bene di lusso negli anni ’50. Lui, il macellaio, proiettato in alto dalla notevole pedana mi guardava agitando un coltellaccio dicendomi oggi Gabanì vince. Ma Gabanì chi? Ero poco più che un bambino, conoscevo Coppi e Bartali, avevo sentito parlare anche di un concittadino che andava forte in bici, un certo Baldini, ma del fratello del macellaio mai. Pambianco fu uno dei motivi che spinse me e mio padre ad ammirare il Giro d’Italia del 1961 quando avevo 18 anni, in cima al Muraglione. Andammo con una Ducati 125 modello miracolo. Via allora sulla strada che porta a Firenze, ma a Rocca S.Casciano iniziano i problemi, una pioggia fitta e violenta ci investe. Andiamo avanti. Si potevano contare sulle dita di una mano gli audaci che erano sul Muraglione sotto quel nubifragio. Poi arrivarono loro, i corridori intrisi di sudore e di pioggia, nello sparuto gruppo riconobbi Taccone, Anquetil e poi Gabanì. All’arrivo a Firenze fu il trionfo, la maglia rosa e a Milano l’apoteosi. Con l’andare del tempo ho conosciuto un altro Pambianco, faceva il tassista mentre io ero impiegato all’ufficio biglietti della stazione. Ogni tanto si avvicinava al mio sportello, scambiavamo due chiacchiere prima che un male devastante lo portasse via, con lui non ho mai parlato di ciclismo. Non ho mai conosciuto Gabanì. Ero solito però quando salivo a Bertinoro prendere un caffè nella piazzetta dove troneggia il busto dell’eroe dei due mondi. Anche quel giorno io, ultra settantenne mi sono fermato per il rito della tazzina. Mentre gustavo la bevanda calda ho rivolto al barman la domanda: pioverà oggi pomeriggio? Forse. La risposta mi era giunta alle spalle e girandomi ho visto due occhi azzurri sorridenti che mi guardavano da sopra un giornale. Fernando Montanari