di Daniele Zandoli L’unica ragione per cui giovedì sera è valsa la pena andare allo stadio è stato lo spettacolo di un popolo bianconero ancora una volta tradito, umiliato, sbertucciato dai propri beniamini. La storia infinita delle eliminazioni traumatiche ai playoff offende. Non ti elimina una favorita, ma un manipolo di onesti mestieranti. Matelica lo scorso anno e Monopoli sono meteore, modeste formazioni che hanno buttato in mischia ciò che a una squadra di calcio non dovrebbe mancare mai: la grinta, la determinazione, la voglia di divorare l’avversario. Il Cesena non è andato oltre i propri limiti come dice Viali, ha fatto il suo. E’arrivato terzo in classifica per mancanza di concorrenza, con l’eccezione delle prime due. Il tecnico è sul banco degli imputati, macchia indelebilmente due anni e mezzo tutto sommato dignitosi, in un mare di guai fra covid e infortuni. Colpa di chi ha preso giocatori dal ricco pedigree ma vecchi e bolliti, carichi di acciacchi rimediati in anni di furiose battaglie nelle serie superiori. L’emblema è Rigoni, prezioso quando è stato in campo ma poi assente per tutto il girone di ritorno. A questa squadra è mancato un cagnaccio da mettere davanti alla difesa. I centrocampisti bianconeri (e non solo loro) sono damerini che piuttosto che legnare come si conviene in C le hanno prese sode. Mai una ammonizione per i tacchetti sulle caviglie avversarie. Il calcio non è sport per signorine. E poi il gioco dal basso. Un disastro, non solo per il pastrocchio di Nardi che ha chiuso il match col Monopoli, cui occorre comunque concedere l’onore delle armi per i punti che ha portato in questi due anni di servizio. Un tecnico di carattere vieta quelle ripartenze che seminano figuracce e patemi. Il Cesena ha fatto la storia coi profeti della palla avanti e ...
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