Forli, 19 maggio 2011 - «Scusi, sa dov’è la sede delle Acli?». In fondo, non può sbagliare: anche perché non c’è nessun altro. I palazzi di via Bonali sono facce che guardano con occhi vuoti: dal civico 16 al 42, nulla. Una lunga fila di cartelli «affittasi» e «vendesi». Al 42, circa a metà, un ufficio dell’Enel, poi laggiù il Caf Acli. E nient’altro.

Siamo nell’area ex Mangelli, dove l’antica ciminiera fa ombra al grande progetto urbanistico della Forlì di domani. Un piccolo centro commerciale, i Portici, e una vasta zona residenziale e uffici, palazzi in mattoni rossi. «Una città nella città», la definiscono da Isoldi, che aveva creduto nell’idea. Ma una città fantasma, e non solo perché le pubblicità delle agenzie immobiliari campeggiano enormi. Un tecnico della disifestazione contro le zanzare tigre accende il motore del suo furgone in un silenzio quasi irreale. La radio accesa dal cantiere vicino porta la musica a grande distanza. Sui campanelli ci starebbero potenzialmente diciotto nomi, ma ce ne sono ora sei, ora nove. Sulle buchette delle lettere, dodici fessure: ne sono occupate quattro, massimo sei. Tutto pulito, tutto pronto, ma le tapparelle sono abbassate. Possibile? «L’ex Mangelli sembra un’isola — spiega Aldo Ghezzo, dell’immobiliare I. Rossi srl —. Se lei è in stazione e deve andare a piedi in centro, da dove passa? O da via Colombo o da viale della Libertà. Al massimo da via Oriani. Ma nessuno sa che esiste via Bonali». Via Bonali è quella che comincia con la grande porta su viale della Libertà e passa dietro ai Portici: si sbuca dall’altra parte su via Matteotti. Eppure la rotta è deserta. Perché? «Era prevista una pista ciclabile e pedonale, un parco. Poi il Comune non ha fatto nulla di tutto questo: non c’è nulla che invogli a passarci». E gli affari? «Possediamo 42 appartamenti, da gennaio a oggi ne abbiamo venduti quattro. Pensiamo di metterci quattro anni a finirli».

La qualità c’è, e anche per questo nessuno vuole svendere. «Rispetto al 2005, i prezzi saranno calati al massimo del 20%. Gli acquirenti sono sui 40-45 anni. Italiani». Insomma, l’ex Mangelli non sarà un ghetto. Il palazzo ancora in costruzione è al 90% già venduto ad avvocati e commercialisti, c’è un interessamento anche di una banca. «Ma quello ha più visibilità, si affaccia su viale Matteotti. Il problema è dentro, che non c’è passaggio. Ci hanno contattato dentisti, fisioterapisti, un chirurgo estetico». Ma per ora niente.

Aspettano con fiducia ai Portici. Dove hanno un orgoglio: «Non abbiamo sofferto per l’apertura dell’Iper — dice il direttore della galleria Ivan Di Venuto —. Ma sì, un 5% in meno il sabato, che è il nostro giorno più debole: la nostra clientela è quella degli uffici». Però c’è anche un rimpianto: «La tempistica è stata sbagliata: il centro doveva nascere quando almeno metà dell’area era pronta. Invece... Non possiamo farci niente, i lotti sono di tre-quattro proprietari diversi. Ci sono state le bonifiche. Per noi significherebbe molto se arrivassero residenti e uffici: un anno fa proprio sopra la Coop qualcosa si è mosso e le vendite si sono subito impennate». Se solo si mettesse in moto il mercato del mattone, anche i registratori di cassa si metterebbero a viaggiare. Tanti pensano che sia un posto difficile: «Ma non è così: prima di Natale abbiamo riempito cinque negozi, abbiamo marchi leader in regione o in Italia nel loro settore».

Quattro passi sotto le volte a piramide, come un piccolo Louvre. Davanti alla Coop ha chiuso (da novembre) il negozio dove potevi comprare di tutto, dai lacci delle scarpe alle chiavi, e nessuno l’ha rimpiazzato. Poi c’è il grande vuoto di Giancarlo Grandi Affari («la società è in liquidazione», spiega Di Venuto). E un altro spazio sarà libero presto: «20 maggio chiusura definitiva!», annunciano da BioSapori. «Ma non c’entra l’Iper. A Forlì il biologico non va. Certo, bisognava fare di più per promuovere il centro commerciale — dice Arianna —. Perché io resto convinta che la posizione sia ottima: di fianco alla stazione, a due passi dal centro. Avevo un’idea fissa: e se il mercato si fosse trasferito qui dietro, su via Bonali? Avremmo fatto le ramblas, stile Barcellona». E invece resta un’isola. L’isola di un tesoro ancora sepolto.