Forlì, 16 marzo 2012 - IL COLPO è chiaro. Netto. Si sente anche in strada, in corso Mazzini. Sono le 13.30 di ieri. Nessuno però, lì per lì, ci fa caso. Nessuno pensa a un colpo di pistola. Passano un paio di minuti. Giornalisti e fotografi entrano per una conferenza stampa. La tragedia si trova però oltre la stanza d’ingresso. Al di là della portineria. Un militare è abbandonato sulla scrivania, in una pozza di sangue. Ha 38 anni, è nativo di Cosenza; è un sottufficiale in servizio al comando di corso Mazzini da un paio d’anni, sposato, con un bimbo di un anno: di lui non sono state fornite le generalità.

S’È SPARATO, con la pistola d’ordinanza, nella stanza dell’ufficio denunce, nel momento in cui non c’era nessuno, per un corso di perfezionamento. Era entrato in servizio la mattina, stava smontando. Alcuni anni fa era stato in missione in Iraq. Il corpo è immobile. A trovarlo sono alcuni colleghi. Scatta l’allarme al 118. Ma ogni tentativo è vano. Il medico stabilisce la morte. Un militare s’accascia su una sedia. È uno dei colleghi che ha prestato i primi soccorsi. È sotto choc, viene portato in ospedale.

DUE SUICIDI in una settimana per il comando provinciale di Forlì. Venerdì scorso la tragedia arriva da Santa Sofia. In caserma Luca Verdi, 44 anni, si spara un colpo alla tempia. Viene portato in ospedale a Cesena. Morirà il giorno dopo. Lascia la moglie e una figlia di 4 anni. Corso Mazzini trattiene il respiro. Per un’ora i passanti scrutano atterriti ciò che succede in quel portone. Il portone d’ingresso dei carabinieri. Di solito sempre aperto. Accogliente. Ora invece è un viavai di ambulanze, di uomini in divisa, afflitti. Angosciati. All’interno, nel cortile, s’intravede, un frenetico — sempre più frenetico — andirivieni. La gente si ferma sotto i portici. Scruta, atterrita.

PASSANO I MINUTI. Dalla caserma esce, in barella, il sottufficiale che s’è appena sentito male. Viene stabilizzato sull’ambulanza. Che parte per l’ospedale. «Cos’è successo?»; «Come sta?»: le domande della gente in strada hanno il ritmo, il sussurro perpetuo, di una preghiera. Risposte però non ne arrivano, ostacolate dall’angoscia che si consuma al di là di quel portone. Arrivano i vertici dell’Arma. Il comandante provinciale, Adriano Vernole, che era fuori per servizio; e poi, verso le tre, gli alti vertici del comando regionale. Il portone si chiude. Chiaro segnale. Il lutto, il dolore, è il lucchetto di quel portone.

Maurizio Burnacci

Maurizio Burnacci