Forlì, 21 marzo 2012 - HANNO firmato sacerdoti cattolici, il rappresentante della comunità ortodossa rumena, pastori avventisti, una docente ebraica, fedeli e atei. La petizione a favore del centro di cultura islamica sarà consegnata il 28 marzo al sindaco, ma domani sera i promotori chiamano a confronto in un dibattito pubblico i capigruppi consiliari del Comune di Forlì (salone comunale, ore 20,45). L’idea è nata in seguito a una serie di incontri voluti dall’associazione ‘Forlì città aperta’ che organizza periodicamente cene in famiglia fra forlivesi e cittadini stranieri: in quelle occasioni la comunità musulmana ha manifestato l’esigenza di un luogo di preghiera e altre attività, più grande del vecchio garage di via Fossato Vecchio.

Il capannone di via Masetti acquistato 4 anni fa per 430 mila euro non ha mai ottenuto il cambio di destinazione d’uso. «E’ in gioco un diritto fondamentale, sancito dalla Costituzione — dice Pierantonio Zavatti, responsabile del circolo Acli ‘Romero’ — . Non avrebbe senso sottoporlo a referendum. Vogliamo tuttavia ragionare senza preconcetti, ma anche liberandoci dalle paure». I promotori insistono sul fatto che non è esatto chiamarla moschea: di queste in Italia ce ne sono 5, i centri islamici sono 800, di cui 112 in Emilia-Romagna.

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NON deve stupire se fra i promotori della libertà di culto per gli islamici ci siano i preti cattolici. E’ già successo in molte parti d’Italia, si sta ripetendo a Forlì. Don Erio Castellucci, parroco di S.Giovanni Evangelista, firmatario della petizione, ha partecipato in varie occasioni agli incontri con rappresentanti della comunità musulmana forlivese.

Don Erio, perché siete favorevoli al centro di cultura islamica?
«Occorre consentire la libertà religiosa, l’opportunità di culto, ovviamente entro i limiti previsti dalla legalità».

La chiesa cattolica cosa ne pensa?
«Mi sono riletto il discorso di Giovanni Paolo II quando fu inaugurata la moschea di Roma: oltre alla gioia per l’avvenimento e l’auspicio della reciprocità, si faceva riferimento al fatto che l’apertura di luoghi di culto toglie pretesti proprio alle frange fondamentaliste».

A proposito di reciprocità: alcune forze politiche si oppongono alle ‘moschee’ con la scusa che in alcuni Paesi musulmani non c’è libertà di culto per i cattolici. E’ un argomento fondato?
«In questi casi ricordo il passaggio evangelico di Matteo, quando Gesù dice che facendo il bene non si deve pretendere qualcosa in cambio, va fatto un primo passo. La reciprocità sia un auspicio, ma intanto ci si incammini nella direzione giusta».

Fra i suoi fedeli come è considerato il tema della moschea? Prevale la diffidenza o la tolleranza?
«In genere chi approfondisce e si informa mostra accoglienza e simpatia verso la possibilità che altre religioni abbiano luoghi di culto e di incontro. Sussiste un’area di disinformazione e di paura che teme che questi luoghi possano richiamare i fondamentalisti. Ma quando conoscono meglio l’argomento, tendono a cambiare idea».

Qual è un luogo comune molto diffuso?
«C’è chi pensa che siano il Comune o lo stato italiano a pagare, invece tutti i costi se li accolla la comunità islamica».

Altro timore: non si sa chi frequenterà il centro.
«Le norme prevedono controlli, ma non c’è da aspettarsi qualcosa di nuovo, visto che a Forlì la ‘moschea’ di via Fossato Vecchio c’è da parecchi anni. Erigere muri è sempre controproducente, anche dal punto di vista sociale».

Assieme ad altri sacerdoti, vi date da fare sul dialogo interreligioso. Continuerà?
«Certo. Don Sergio Sala si è impegnato molto su questo fronte, anche con i rappresentanti avventisti e ortodossi. La conoscenza reciproca è sempre molto utile».

Quanti musulmani ci sono nel territorio della sua parrocchia?
«Decine di famiglie. Al doposcuola pomeridiano della nostra parrocchia, 32 bambini su 40 sono di fede islamica. Frequentano l’oratorio, si rendono conto che la chiesa cattolica non è il nemico, è una buona forma di integrazione».
 

di Fabio Gavelli