Forlì, 2 novembre 2012 - UNA messa per i bambini morti prima di nascere. É stata celebrata ieri nella chiesa del cimitero monumentale di Forlì. Si tratta di un’iniziativa che organizza da alcuni anni la Papa Giovanni XXIII. Prima della sua scomparsa (avvenuta nel 2007) vi partecipava anche il fondatore della comunità, don Oreste Benzi, che in un paio di occasioni officiò la messa. «Questa iniziativa  — spiega Daniele Tappari, componente della Papa Giovanni — è per ricordare i bambini mai nati per un aborto volontario o spontaneo.E per stare vicino a quelle famiglie che hanno vissuto un’esperienza del genere, spesso in solitudine e senza sostegno».

 

Un sostegno che la comunità, attraverso il servizio maternità difficile, offre con un aiuto di tipo relazionale, psicologico ed economico. L’attività della comunità a favore del diritto alla vita si traduce in un’attività di preghiera, alle 7.30 di ogni primo lunedì del mese, davanti all’ospedale ‘Morgagni - Pierantoni’. Questo è il giorno in cui avvengono le interruzioni di gravidanza. In un caso i membri della comunità sono riusciti a convincere una mamma a tenere il suo bambino.

 

DANIELE TAPPARI, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII, consigliere comunale del Pd e componente di una vera e propria tribù. Quanti siete in famiglia?
«In tutto? Dieci».
Lei, 45 anni, sua moglie Elisabetta, di 44 anni, e poi?
«Abbiamo cinque figli naturali, più altri due, una in affidamento, l’altro adottato. Con noi c’è anche una ragazza di 21 anni, volontaria della comunità».
Età dei ragazzi?
«La più grande ha 16 anni, la più piccola ne sta per compiere 4».
Dove vivete?
«Al Villaggio della Gioia, a Villafranca, in una struttura dove ci sono altre famiglie».
Com’è la convivenza?
«I rapporti sono quotidiani. Non sono sempre facili. Io e mia moglie cerchiamo di essere attenti all’equilibrio tra i nostri figli naturali e gli altri».
Emotivamente è difficile seguire così tanti bambini e adolescenti?
«Le persone ti chiedono tanto. A volte questi ragazzi hanno storie difficili alle spalle ed ognuno esprime il disagio in forma differente. Bisogna essere attenti anche a questo aspetto. E il tempo che ci vuole è molto».
Materialmente ed economicamente com’è possibile mantenere una famiglia di 10 persone?
«Diciamo che c’è un aiuto reciproco all’interno della comunità, mettiamo i beni in comune. Preferisco non entrare troppo nel dettaglio di questo aspetto».
Domanda ironica: ma con tutta questa gente attorno non ha voglia di rifugiarsi a Camaldoli ogni tanto?
«A fare il monaco (ride)? Proprio no. Però, quando sento il bisogno di solitudine, vado alla Verna. L’impegno che richiede la famiglia è tanto, ma bisogna essere attenti anche a se stessi».
Lei lavora all’interno della Papa Giovanni XXIII?
«Sì. Seguo, a livello nazionale, i progetti e le richieste di contributi».
E sua moglie?
«Anche lei ha un incarico relativo agli affidi dei minori nella comunità. Elisabetta si occupa per gran parte del tempo della famiglia».
Vivete, come diceva, al Villaggio della Gioia: di che struttura si tratta?
«Abbiamo deciso di adottare un modello di famiglia aperta da quando — nel 1994 — siamo entrati a far parte della Comunità Papa Giovanni XXIII. Una scelta che prevede che la famiglia sia aperta a bambini ma anche agli adulti. Al Villaggio della Gioia questa situazione si traduce in pratica».
In dieci non vi litigate mai il telecomando?
«Ho risolto il problema: non guardo la tv, se non un film ogni tanto. Se la vedono mia moglie e i miei figli (ride)».
 

Luca Bertaccini