Forlì, 23 giugno 2014 - La vita, scomposta in parole che rompono il silenzio. Pezzi di autonomia da conquistare. Sveglia, colazione, doccia, vestirsi e pettinarsi, riordinare la camera. Ordine nel caos. Agende visive appuntate sui muri. In salotto, in cucina, in camera, in bagno. Davide, 16 anni, autistico, legge e si lascia guidare. È uno dei tre ragazzi che vivono alla fondazione Fornino Valmori, 22 ettari di verde tra Bertinoro e Forlimpopoli, nel Forlivese, la gestione affidata a una cooperativa, ‘Insieme per crescere’. Centro per autismo e disagio psichico nato da una pazzia d’amore. Una storia di amicizia. Due famiglie.

Edo Valmori papà di Nicolò, 22 anni, autistico. Otello, nonno del ragazzo. Vincenzo Fornino (video) babbo di Antonio, 43 anni, a 17 la prima crisi di schizofrenia. Maneggio, laboratori, serra, ristorante, sala convegni, palestra e lavanderia, uffici, barbiere e sartoria, centri estivi. Modello ‘SanPa’ senza avere per ora dei Moratti. I Moratti della storia sono loro, le due famiglie. Hanno mollato quel che facevano e hanno investito tutto qui. Centro inaugurato a settembre, così nuovo «da fare paura anche alle istituzioni — sorride Fornino senza voler calcare la mano —. Stiamo aspettando l’accreditamento per 20 posti letto, 12 per il disagio psichico, 8 per l’autismo. Siamo fiduciosi. Però la burocrazia è rimasta ferma ai manicomi».

Per ogni ragazzo un progetto. Se parla o se comunica con il Pecs, lo scambio per immagini. Se deve scaricare l’aggressività, quella che fino a ieri riempiva di lividi una mamma disperata e oggi si disarma abbracciando un pallone. Per arrivare dove? «A una dignità di vita», è il traguardo che si dà Fornino. Al fianco dei fondatori c’è Galeazzo Garavini, responsabile socio-sanitario; mattina e pomeriggio si alternano due psicologhe; cinque operatori garantiscono assistenza giorno e notte. Ti guardi attorno, qui non ci sono steccati tra dentro e fuori. «Ristorante, palestra, serra, ambulatori, sala convegni, maneggio, impianti sportivi sono aperti all’esterno — s’accalora Fornino —. È un modo nuovo per fare reddito e riversarlo nel sociale. Poi certo, serve anche l’aiuto delle istituzioni». Le stesse che, chiarisce, «dopo di noi erediteranno questo patrimonio. C’è scritto nello statuto. Andrà tutto ai Comuni di Bertinoro e Forlimpopoli». La roba non te la porti dietro. Questo padre dice di averlo capito «qualche anno fa, quando ho finito il cantiere della casa nuova — indica una bella villa là in fondo —. Mi sono chiesto: cosa me ne faccio? Quarantacinque anni di lavoro. Pensavo: se mio figlio va in un centro psichiatrico diventa matto. Invece qui Antonio sta bene. Tutto questo è nato da una domanda: dopo di noi chi si prenderà cura di loro, dei nostri figli? Con Edo siamo amici da una vita. Io allevavo polli, lui mi vendeva i mangimi».

Entri nella lavanderia, Antonio sta aiutando la mamma Gaetana al mangano, una grande macchina che asciuga e stira. Poco più in là, le stanze per la terapia Aba, metodo americano per curare i bimbi autistici, arrivano piccini da fuori. Ragazzini vocianti si rincorrono, sono del centro estivo. Manca l’ultima scommessa. Fornino si avvicina a un vecchio edificio, indica un buco nel muro»: «Qui, dove allevavo i polli, vogliamo aprire nuovi laboratori. Al piano di sopra, una grande biblioteca e sala di lettura». Pensa ai sette anni che ci sono voluti per le autorizzazioni, prima. «Perdere tempo alla mia età mi fa paura — confessa —. Ho settant’anni e un progetto in mano che vorrei consegnare a qualcuno. Dovremo trovare qualcuno. Dobbiamo farcela. Perché qui ci sono i nostri figli. Qui ci sono milioni di investimento a costo zero che saranno lasciati in eredità al territorio. Forse un giorno quel che abbiamo fatto sarà riconosciuto. Oggi no. Non ancora».

Rita Bartolomei