Alla Fiera tra gli sfollati Tè caldo, coperte, peluche Pochi dormono dopo l’incubo

Il palazzo di vetro di via Punta di Ferro ospita chi non ha più casa: scarsi gli abiti asciutti, c’è chi ha portato anche il cane. Qualcuno piange, altri si raccontano l’alluvione.

Alla Fiera tra gli sfollati  Tè caldo, coperte, peluche  Pochi dormono dopo l’incubo

Alla Fiera tra gli sfollati Tè caldo, coperte, peluche Pochi dormono dopo l’incubo

di Sofia Nardi

Hanno dovuto lasciare le loro case in fretta. Fino all’ultimo molti hanno pensato di poter resistere, che la loro abitazione sarebbe stata risparmiata, ma alla fine non c’è stato niente da fare. Sono centinaia le persone sfollate che hanno occupato gli spazi dedicati all’accoglienza al Villa Romiti (per ore rimasto praticamente irraggiungibile dal resto della città) e al palazzo di vetro di via Punta di Ferro. Proprio qui, nel grande spazio al piano terra, sono stati sistemate centinaia di brandine.

A metà mattina, mentre fuori ancora continua imperterrita a cadere la pioggia, i letti sono ancora quasi tutti occupati. In tanti hanno passato la notte in bianco e ora stanno dormendo profondamente, avvolti nelle coperte marroni distribuite dalla Croce Rossa e dalla Protezione Civile. L’atmosfera è stranamente tranquilla, mentre i volontari distribuiscono bicchieri di tè caldo e pacchi di biscotti a chi è sveglio e altri gestiscono gli scatoloni pieni di vestiti, frutto delle donazioni dei più fortunati alle persone che, ora, si troverebbero a fronteggiare l’emergenza senza nemmeno il conforto di una felpa calda, o di un paio di calzini asciutti.

C’è chi ha con sé il proprio cane. Accanto a molti letti se ne stanno accovacciati, in silenzio, quasi a non voler disturbare, labrador e barboncini, meticci e husky. Ci sono anche dei gatti, al sicuro nei loro trasportini. Ognuno ha portato con sé quello che ha potuto raccogliere in fretta: una bracciata di abiti asciutti, il caricatore del telefonino, un peluche. Accanto alla branda dove russa sommessamente un uomo sono deposti, appaiati, due zoccoli da donna, argentati e di dimensione decisamente troppo piccola: forse le prime calzature che è riuscito a indossare nella concitazione dell’evacuazione. Qualcuno è sveglio: c’è chi, in silenzio, scorre lo schermo del cellulare sul quale si inanellano, una dopo l’altra, le foto del disastro che ha colpito la Romagna. Una donna, seduta sul bordo del letto, piange piano nel telefonino: "Quando ho visto l’acqua salire, non ti so dire quello che ho provato".

Altri si sono raccolti in piccoli gruppi. Sono vicini di branda, probabilmente non si conoscevano prima e ora si stanno raccontando la loro esperienza: è facile capire che quelle parole sono state ripetute già molte volte nelle ultime ore, quasi come un controincantesimo che può spezzare il maleficio grazie alla potenza salvifica della partecipazione: "Dopo sono andato in cantina e lì ho visto che davvero i mobili stavano galleggiando", "il fiume era cresciuto tantissimo, sembrava un altro mondo", "non mi è rimasto niente, non ho neanche un paio di scarpe".

Su una branda una mamma ride guardando un video sul cellulare insieme alla sua bambina. Altri bambini ancora giocano seduti a terra, un’altra cammina sola tra le brande, fermandosi ogni tanto a osservare curiosa una persona addormentata, o ad accarezzare un cane. Nel punto di accoglienza si sta ricreando una strana, precaria forma di normalità, fondata sul senso di comunità e di condivisione. Le persone, intanto, continuano ad arrivare, stringendosi nei teli termici dorati, poi raggiungono la loro branda e si apprestano a una lunga, estenuante attesa.