
Caro Andrea, credo che l’azionariato popolare sia addirittura incompatibile con la struttura della Fondazione che la società si è data nel 2016. Ovvero, la proprietà è un soggetto la cui appartenenza è regolata da criteri economici precisi: questo è proprio legato alla volontà di evitare una parcellizzazione delle quote. Naturalmente, in astratto, nulla è impossibile: ai tempi della FulgorLibertas c’era un piccolo consorzio di tifosi, fatto a sua volta da micro-quote, che aveva designato un suo rappresentante nella compagine societaria. Detto che stavolta gli appassionati dovrebbero raccogliere somme più alte, l’esempio di cui sopra è il motivo per il quale – al di là dei tecnicismi – l’azionariato popolare non è una buona idea. Del resto, a parte il Barcellona calcio, sono pochissimi gli esempi in cui funziona: perché la società si rivela poi ingovernabile, con veti e contro-veti (verificatisi in passato anche a Forlì; fra i 7 soci attuali, invece il clima è buono). Il problema delle spese sollevato da Fabio Gavelli sul Carlino di ieri è reale, nonostante l’entusiasmo e le possibilità ‘tecniche’ di fare il colpaccio. Ma le soluzioni possono essere altre: prima, l’ingresso di nuovi soci, visto che già prima del Covid si ipotizzava un allargamento; seconda, il pool di sponsor: questi sì possono essere preziosi anche se piccolissimi, come si confà alla natura del nostro tessuto imprenditoriale. È bene, comunque, iniziare a pensarci.