La professione infermieristica vive una crisi profonda. Sempre più numerosi sono gli infermieri che abbandonano l’ospedale e i giovani che rinunciano, complici anche i crescenti episodi di aggressione nei confronti del personale sanitario. L’ultimo pochi giorni fa a Cesena, dove un medico del Sert è stato picchiato e minacciato da un paziente tossicodipendente. Anche a Forlì si registrano episodi simili: un 45enne ha dato in escandenza mettendo in pericolo gli operatori e danneggiando gli spazi del pronto soccorso. Marco Senni (foto), presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche provinciale, che con oltre 3mila iscritti, offre un quadro dettagliato della situazione.
Senni, qual è l’andamento delle iscrizioni al corso di laurea in provincia?
"La professione sta vivendo, ormai da molto tempo, un periodo difficile a causa dell’importante calo delle adesioni ai corsi di laurea. A livello regionale abbiamo avuto un calo intorno al 10% degli aspiranti infermieri. Per quanto riguarda i campus della Romagna, che si dividono nel polo di Forlì-Ravenna e Cesena-Rimini, abbiamo registrato un calo netto delle iscrizioni. Nel primo complesso universitario, lo scorso anno, gli immatricolati al primo anno erano 129 su 164 posti disponibili. Nel secondo, invece, erano 184 iscritti su 221 accessibili. Siamo in attesa di vedere i dati di quest’anno accademico ma ci aspettiamo lo stesso trend".
Sempre meno persone scelgono di diventare infermieri...
"C’è un problema di attrattività: non è più un’emergenza è, ormai, una situazione cronica alla quale non abbiamo ancora trovato risposte adeguate. I colleghi sono stanchi e demotivati, l’età media è alta e tra una decina d’anni avremo molto personale vicino alla pensione. Ci sono poi altri fattori che incidono sulla carenza di personale". Quali?
"Le aggressioni sempre più frequenti, ad esempio, non aiutano i giovani a scegliere di intraprendere questo lavoro. Il governo ha impostato una linea dura ma non credo che sia la soluzione, occorre un cambio culturale. Le persone devono capire che gli infermieri stanno lavorando e meritano rispetto. Si aggiunge poi il fatto che i nostri professionisti frequentano corsi di specializzazione ma spesso non c’è la consapevolezza di queste competenze avanzate e neanche un riconoscimento in termini di carriera. C’è un forte tasso di abbandono dagli ospedali pubblici per andare all’estero o verso la sanità privata. Il servizio sanitario fatica a essere considerato una scelta appetibile".
Quali sono i rischi?
"Il pericolo è che fra qualche anno non ci sia abbastanza assistenza infermieristica soprattutto per quella domiciliare per i più fragili. Il calo delle iscrizioni ai corsi di laurea non consente di coprire il ricambio generazionale. Si stima che nel 2029 ci sarà un’uscita dal sistema italiano di circa 100mila professionisti. Siamo nell’ordine di 13mila infermieri all’anno a fronte dell’ingresso di sole 11mila unità".
Quali sono le contromisure eventuali?
"Una riorganizzazione totale, un miglioramento delle condizioni lavorative e un adeguato riconoscimento economico. L’Ordine è impegnato a portare avanti queste istanze nei tavoli istituzionali locali e regionali".