Ci serve un piano integrato per fronteggiare siccità e crisi climatica

[Segue dalla prima]

In Italia si riesce a trattenere solo l’11% dell’acqua piovuta (non riusciamo a trattenere gli ulteriori 270 miliardi di metri cubi). Si continua ad affrontare questo problema sempre sul piano della buona gestione o dell’eccezionalità ma i fenomeni siccitosi tendono a ripetersi con tempi di ritorno sempre più rapidi (2002, 2007, 2011 e 2012, 2017, 2022, 2023). Si passa da piogge intense a lunghi periodi di siccità e si mostra il problema nei due opposti lati, entrambi causati dal cambiamento climatico.

Non si trattiene l’acqua a monte e non si proteggono i territori a valle dagli eventi alluvionali. Parimenti non si protegge la costa dalla subsidenza. La riduzione del 50% della neve caduta nelle Alpi non favorisce il fatto di trattenere acqua allo stato solido attraverso la coltre di ghiaccio sotto i quattromila metri di altezza. Così l’acqua corre più velocemente a valle e può alzare il livello del mare, mentre la subsidenza e l’antropizzazione dei terreni (sempre meno impermeabili, per effetto del consumo di suolo urbanizzato) fa il resto.

Oltre a non trattenere l’acqua a monte c’è anche chi ipotizza di dissalarla a valle (con impianti di tipo industriale, energivori, impattanti sul piano ecologico, per il rilascio di salamoia in concentrazione e che non può essere riutilizzata dentro processi di tipo industriale). Tutto ciò evidenzia un paradosso nell’approccio contraddittorio e non lineare al problema.

Nel nostro Paese viene regolato con la tariffa solo il 30% dell’acqua potabile per gli usi civili, escludendo gli altri usi di tipo irriguo, industriale, energetico (per l’idro elettrico) e ambientale. Inoltre non sì da applicazione al Regolamento Europeo per il riuso delle acque reflue perché non si stanno rivedendo i limiti di legge che pongono forti limitazioni di uso per l’agricoltura. Così si lasciano andare a mare 9 miliardi di metri cubi di acqua depurata che potrebbero essere utilizzati in agricoltura, per finalità industriali o a scopo ambientale.

Inoltre è rimasta fuori dai costi del servizio idrico la gestione delle acque meteoriche (a carico dei Comuni e non della tariffa idrica) ma che ricade comunque indirettamente in tariffa, rispetto al carico dei volumi di acqua piovana da trattare nei depuratori. Dovremo inoltre favorire l’approvazione della legge per il contrasto al consumo di suolo; e, parallelamente, sostenere la ricarica delle falde idriche, così da contrastare la risalita del cuneo salino che impatta da Rovigo, a Ferrara alla nostra costa romagnola. Dovremmo inoltre spingere nella direzione delle gestioni industriali, superando quelle dirette ed in economia degli enti locali.

Altra questione fondamentale è quella legata all’accelerazione dei processi autorizzativi connessi ai servizi pubblici locali a rete. Inoltre questo genere di investimenti subisce la contrapposizione tra chi persegue la tutela del paesaggio rispetto alle cosiddette infrastrutture green. Dobbiamo continuare a promuovere l’uso efficiente sia delle reti idriche sia dell’acqua. Nonostante le tariffe per l’acqua siano tra le più basse d’Europa, non si può pensare che il gap di investimenti in questo settore si possa recuperare solo mantenendovi il carico principale sulla tariffa dell’acqua senza il coinvolgimento del piano statale, così da realizzare le infrastrutture che ci servono (dighe, opere di presa, briglie, bypass, casse di espansione).

Il territorio va altresì mantenuto, considerando che è fragile. È per questo fondamentale non abbandonare demograficamente i territori appenninici, montani, periferici, le cosiddette aree interne, ed investire per mantenere le persone sul territorio. Così come è importante difendere il cosiddetto capitale naturale mediante il mantenimento e la difesa dei servizi ecosistemici. Ora che la siccità colpisce in maniera significativa le regioni produttive del nord (pianura padana in primis), diviene fondamentale accelerare la strategia per prevenire i rischi e mantenere le rispettive prerogative negli ambiti di intervento.

Per questo, giudico bene la nomina del Commissario straordinario alla siccità, così come il coordinamento tra i vari ministri interessati alla materia, e anche il rispetto delle prerogative di competenze regionali o il rafforzamento del ruolo dei 7 Distretti idrici (noi come territorio siamo nel Distretto del Po). In conclusione serve un cambio di paradigma, dalla improvvisazione alla programmazione, dal contare i danni a valle alla prevenzione dei rischi a monte, per generare nel tempo opportunità di sviluppo e senza eccezionalità.

Tonino Bernabè,

presidente Romagna Acque