VALENTINA PAIANO
Cronaca

Fast fashion, il lato oscuro della moda. L’illusione del bello a poco prezzo

I ragazzi della Zangheri hanno studiato gli effetti economici, sociali e ambientali del mercato dei capi economici "Ogni acquisto può diventare un gesto politico capace di generare un cambiamento per un futuro migliore" .

I ragazzi della Zangheri hanno studiato gli effetti economici, sociali e ambientali del mercato dei capi economici "Ogni acquisto può diventare un gesto politico capace di generare un cambiamento per un futuro migliore" .

I ragazzi della Zangheri hanno studiato gli effetti economici, sociali e ambientali del mercato dei capi economici "Ogni acquisto può diventare un gesto politico capace di generare un cambiamento per un futuro migliore" .

Il settore della moda ha sempre riflesso i cambiamenti della società, ma ad oggi si è evoluto in un’industria dominata dal consumo rapido e accessibile e dall’ossessione per le novità. La fast fashion, ovvero la produzione industriale di abbigliamento a basso costo e sempre aggiornata. È diventata parte integrante dello stile di vita contemporaneo. Tuttavia, dietro la comodità di trovare capi economici e alla moda si celano importanti implicazioni economiche, sociali e ambientali che sollevano dubbi sulla sostenibilità del sistema. La fast fashion ha senza dubbio reso la moda più raggiungibile, abbattendo barriere economiche che un tempo la riservavano a pochi. Ha reso le tendenze accessibili a più persone, permettendo di esprimersi attraverso l’abbigliamento. Tuttavia, allo stesso tempo, vendere abbigliamento a basso costo, significa produrlo a basso costo e produrre a basso costo significa non dare importanza a tantissimi aspetti della sua produzione. Una produzione intollerabile, quanto i danni che produce all’ambiente. Per prima cosa basta pensare all’infinito sfruttamento, soprattutto minorile, del lavoro che genera un’industria di questo tipo per reggere questa velocità e la quantità di produzione a questi prezzi. Già in passato l’industria della moda era una delle più inquinanti verso le risorse idriche, ma ciò si è aggravato, per esempio per produrre una sola maglietta servono più di 2.700 litri d’acqua. Inoltre, si calcola che l’industria del fast fashion sia responsabile del 10% delle emissioni globali di Co2, più del totale di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme. Come se non bastassero ai danni ambientali già riportati, si deve aggiungere che vengono prodotti più di 92 mila tonnellate annue di rifiuti tessili. Rifiuti, che trascinati dalla pioggia, si accumulano sia in riva al mare che in esso riducendo e danneggiando la pesca e tutte le creature che vi vivono. Per esempio, nel cuore di Dacca, in Bangladesh, uno degli affluenti del fiume Buriganga si è trasformato in un ’fiume di vestiti’, soffocato dai rifiuti delle industrie tessili.

Quelle che una volta erano acque cristalline è ora una melma tossica che distrugge la flora e la fauna locale, costringendo i residenti a convivere con gravi problemi di salute. Sul piano umano, molte fabbriche non rispettano le norme di sicurezza, mettendo a rischio i lavoratori. Milioni di operai lavorano in condizioni precarie, con salari bassi e turni estenuanti, come dimostrato dal tragico crollo del Rana Plaza in Bangladesh nel 2013, che ha causato oltre 1.100 vittime. Questo evento ha rivelato l’insostenibilità di un sistema dove il reddito viene prima della vita umana. Anche i consumatori partecipano a questo meccanismo. L’acquisto impulsivo, spinto da prezzi bassi e continue novità, rende i vestiti effimeri: secondo alcune stime, un capo viene indossato in media solo sette volte prima di essere scartato. Questo alimenta la cultura dello spreco, con discariche colme e una crescente insoddisfazione, dove il valore degli acquisti si esaurisce rapidamente. Il cambiamento è possibile, ma richiede una trasformazione culturale e sistemica. La consapevolezza dei consumatori è il primo passo: comprare meno, ma in modo più consapevole, e privilegiare la qualità alla quantità può fare la differenza.

Inoltre, cresce l’interesse per alternative come lo ’Slow fashion’, che promuove durabilità e trasparenza. Alcuni brand stanno adottando pratiche più sostenibili, come materiali riciclati, tracciabilità digitale e politiche di restituzione. Per superare questa contraddizione è necessario partire dalle nostre scelte quotidiane. Ogni acquisto può diventare un gesto politico, capace di generare un cambiamento più ampio. Solo con un approccio collettivo e consapevole sarà possibile immaginare un futuro in cui moda, giustizia e sostenibilità possano convivere in armonia.

Classe 2ªD