Rondoni
Il collega Ettore Morini stava curando le partite della domenica. Capimmo immediatamente l’importanza del tragico avvenimento. Ma come avere conferma di una notizia che rimbalzava dall’Africa, a tarda ora per le redazioni, senza connessioni, in un’era che precedeva la diffusione su vasta scala di internet e dei social network? Con il caposervizio Emanuele Chesi, Ettore Morini, Andrea Degidi e altri colleghi confezionammo velocemente le pagine in un contesto febbrile e tumultuoso di scarne informazioni. Nella tipografia di Bologna venne fermata la rotativa che stava per mandare in stampa il giornale e, in poche ore, scrivemmo articoli su Annalena, anche perché avevamo la memoria ‘fresca’ delle parole che lei stessa aveva detto a Forlì pochi mesi prima, durante un incontro nella sede del Comitato.
Fu un lavoro pieno di emozione. La conferma dell’uccisione venne in quelle ore notturne dal consolato italiano di Gibuti, con il cuore in mano si battevano i testi perché Annalena era cara a tutti noi e quella notizia colpiva l’anima della città. Erano gli anni successivi all’11 settembre con il terrorismo che colpiva duramente. Ricordo la fatica ma anche la responsabilità di trattare con i colleghi quell’evento divenuto notizia nazionale e internazionale: la locandina del Carlino, il giorno dopo, fu poi ripresa da tutti i tg italiani e oltre. Allora ero direttore del settimanale ‘Il Momento’: dall’America, dove vedevano in lei una nuova Madre Teresa di Calcutta, i giornalisti di Usa Today chiamavano per avere notizie.
A giugno di quell’anno, in modo profetico aveva voluto parlare della sua vita: ho ancora un ricordo profondo della sua affermazione, limpida come i suoi occhi, "io sono nobody", proferita nell’umiltà e nella certezza della sua fede cristiana, nella consapevolezza che "l’unica cosa che conta è amare".