
Chiamiamolo l’altro lato della medaglia. In questi giorni che molti tifosi del basket sognano di vedere la squadra di coach Martino in serie A la prossima stagione, tocca fare anche i conti su cosa significa salire al piano di sopra. E non per fare i guastafeste in anticipo, ma anzi per ragionare in prospettiva.
Primo punto: cosa è successo ai club della massima serie che sono partiti con budget risicati, negli ultimi anni? Perlopiù è andata male. I bilanci delle società professionistiche sono pubblici e recentemente la Prealpina, quotidiano di Varese, ha raccolto una serie di dati: Cantù, con 2,8 milioni nel 202021, e Cremona (2,7 la stagione successiva) sono retrocesse. E si tratta comunque di investimenti di tutto rispetto, se si considera che per il campionato di A2, persino ai vertici come la Forlì di quest’anno, si spende sul milione e mezzo o poco più. Altro esempio: Varese, nel 202122, con ben 4,2 milioni, era addirittura la quarta più povera su 16 società.
Fra i sostenitori del basket cittadino, qualcuno sogna Tortona, che da assoluta sorpresa (e fin qui le similitudini con i biancorossi di quest’anno reggono) nel 2021 fu promossa in A, dove oggi è terza in classifica. Ma i piemontesi l’estate scorsa hanno messo sul piatto della bilancia addirittura 8 milioni. Oggi lottano per non retrocedere sia società promosse negli ultimi anni – come Napoli e Verona – ma anche una realtà consolidata come Reggio Emilia.
È vero, non sempre i risultati – per fortuna – seguono la logica dei soldi. Ma i fatti dicono che da oltre una decina d’anni, almeno nella fascia media, fare la serie A costa sempre di più. Alla faccia di chi sosteneva che aumentare il numero dei giocatori stranieri avrebbe ridotto i costi: ovviamente è accaduto il contrario.
Perché c’è una differenza così marcata fra gli investimenti delle prime due serie del basket? Il problema è che si passa da un formale ’dilettantismo’ (A2), al professionismo (serie A). Ciò comporta che i contratti per i giocatori sono più alti e con varie altre voci e che il ’biglietto d’ingresso’ è molto oneroso: fra fidejussione (che però sarà recuperata) e quota d’iscrizione, già a luglio il club neo promosso deve tirar fuori 600 mila euro. Costano più perfino le tasse gara: da 1210 a 2.310 euro per ciascuna partita. Insomma, la massima serie è come un club esclusivo. Che è dominato da corazzate super ricche (Milano e Virtus Bologna viaggiano rispettivamente a 33 e 25 milioni circa) e vede una folta pattuglia di società che segue con molto distacco, ma si aggira comunque fra i 6 e gli 8 milioni a stagione.
Fra gli addetti ai lavori del basket è largamente condivisa l’impressione che la Pallacanestro 2.015 Forlì debba in sostanza quasi triplicare gli investimenti attuali, per puntare alla salvezza, qualora salisse in A. Terminati i ragionamenti con la calcolatrice, a questo punto, entra in campo la passione. L’euforia e l’entusiasmo per una promozione possono valere la pena di soffrire l’anno prossimo? Ma soprattutto: quanto è sostenibile negli anni, dal punto di vista finanziario, un posto al sole della serie A?
I vecchi tifosi, memori delle crisi societarie che nella storia del basket forlivese portarono a smobilitazioni e addirittura alla cessione del titolo sportivo (1999), sperano che si possa continuare a sognare, ma stando coi piedi per terra.
Fabio Gavelli