Il diario fotografico "Paesaggio trasfigurato"

L’artista Silvia Camporesi: "Prima la pandemia ora questo. Al parco urbano giochi sommersi dall’acqua. Sentivo l’urgenza di raccontare".

Il diario fotografico  "Paesaggio trasfigurato"

Il diario fotografico "Paesaggio trasfigurato"

Non trova le parole, come gran parte degli abitanti di questo lembo di territorio straziato da un’onda marrone che tutto copre e inghiotte senza pietà. Non ha mai perso, però, la forza e la lucidità necessarie per prendere la macchina fotografica e inoltrarsi, equipaggiata con stivali e tuta da pescatore, nella parte di città più colpita dalle esondazioni. "La sola cosa che posso fare è documentare ciò che sta succedendo", spiega la fotografa Silvia Camporesi, nata e residente a Forlì.

Camporesi, sul suo profilo Instagram sta tenendo una sorta di diario, un racconto per immagini di quanto sta accadendo alla sua città. Nelle sue foto, però, è del tutto assente l’elemento umano.

"Non mi avvicino mai troppo alle persone, non cerco il dramma o il dolore. L’urgenza che sento ora è rappresentare il paesaggio trasfigurato, reso irriconoscibile dall’acqua nell’arco di sole 48 ore. Un tempo relativamente breve, ma tale da sconvolgere le nostre esistenze".

Aveva già in mente un progetto fotografico sull’acqua.

"Negli ultimi anni mi sono concentrata sulla fotografia del paesaggio italiano e il tema dell’acqua - di luoghi e strutture sommersi o, al contrario, aridi e assetati - mi ha sempre incuriosita. Stavo cercando dei committenti e riflettevo sulla fragilità del nostro territorio, quando la situazione ha cominciato a degenerare a pochi passi da casa".

Lei vive in una zona risparmiata dalla furia. Cosa prova?

"Senso di colpa e sgomento. È solo un caso se non sono da quella parte della città. Ho passato due giorni a rispondere alle chiamate di chi, da tutta Italia, chiedeva se io e le bambine stessimo bene".

A proposito delle bambine: ha spiegato loro cos’accade?

"Certo, le ho anche portate nei luoghi più colpiti, è giusto che vedano. I nostri bambini hanno sperimentato una pandemia, sentito parlare di una guerra nel cuore dell’Europa e visto coi loro occhi gli effetti di un’alluvione: tutto nel giro di pochi anni".

Tra i suoi soggetti prediletti c’è il parco urbano, trasformato in una laguna fangosa.

"Durante il lockdown l’avevo fotografato per il Maxxi di Roma, soffermandomi sui nastri bianchi e rossi a protezione dei giochi. Ora quegli stessi giochi sono sommersi dall’acqua. Mi colpisce la staticità dei luoghi, che restano fermi, cristallizzati, mentre subiscono le sciagure".

Nel suo diario ha riferito di essere stata più volte invitata ad andare via dalle persone nelle zone alluvionate. ’Hanno ragione – ha scritto – ma come si fa a non voler vedere?’.

"Le persone non parlano, hanno messo in pausa le emozioni, ora è tempo solo di pulire e spalare. La natura si riprenderà, è potente e ce lo ha dimostrato anche in questa occasione. Siamo noi quelli disperati, condannati a cercare un senso a una tragedia indescrivibile".

Maddalena De Franchis