La preistoria ai raggi X Dalla Calabria al nostro ospedale una mummia di 6mila anni fa

Il laboratorio forlivese ha analizzato condizioni di salute e dna: "Fu una morte improvvisa"

La preistoria ai raggi X  Dalla Calabria al nostro ospedale  una mummia di 6mila anni fa

La preistoria ai raggi X Dalla Calabria al nostro ospedale una mummia di 6mila anni fa

Nella grotta di Pietra Sant’Angelo, nel cuore del Parco del Pollino, in Calabria, è stata rinvenuta nel 2019 la sepoltura di un individuo vissuto circa 6mila anni fa, durante il Neolitico: un ritrovamento che sia per il luogo che per le caratteristiche dell’inumazione, è risultato particolarmente insolito. Per ricostruire la storia personale dell’uomo preistorico sono state utilizzate tecniche di imaging, tramite indagine microscopica e di tomografia computerizzata effettuate presso l’unità operativa di radiologia dell’Ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì, diretta da Emanuela Giampalma, con il contributo del radiologo Enrico Petrella e del bioantropologo Mirko Traversari.

"Forlì è un punto di riferimento importante nel campo paleoradiologico – spiega la direttrice Emanuela Giampalma – per indagini in Italia e all’estero, grazie alla passione e competenza di Enrico Petrella e Mirko Traversari che hanno permesso di approfondire diversi casi interessanti". Tra questi, lo studio scientifico sulle reliquie di San Mercuriale, il primo vescovo di Forlì di origine armena, e della mummia del beato Antonio da Fano, un francescano morto nel XV secolo e confessore del re di Aragona.

Tornando all’uomo ritrovato nella grotta calabrese il grave stato di usura dentaria e lo studio di fibre e frammenti rinvenuti nel tartaro dentale suggeriscono che l’individuo fosse particolarmente attivo nella realizzazione di strumenti, utilizzando la bocca come una terza mano. Dall’analisi del Dna antico dei resti rinvenuti emerge che l’individuo presenta forti affinità genetiche con i primi agricoltori europei che arrivarono in Europa circa 8mila anni fa, come dimostrato dagli studi del dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna, ricostruendo anche le origini, le abitudini e lo stato di salute del nostro antenato.

"L’ipotesi è quella di un decesso rapido da parte del soggetto analizzato – spiega il bioantropologo forlivese Miro Traversari –. Questo avrebbe portato a una sepoltura improvvisata a oltre mille metri di altitudine in un luogo non solitamente adibito a attività funerarie". Una interessante eccezione, quindi, rispetto alle abitudini funerarie dell’Italia preistorica: la sepotura suggerisce comunque l’esistenza di precisi e rigorosi comportamenti sociali legati alla gestione di questa morte "inconsueta". Gli studi e le analisi proseguono su altri casi, come quello "dei 17 corpi incorrotti di religiose del XVII secolo – conclude Traversari – vissute nel Monastero di Fara in Sabina, a 40 chilometri da Roma: una delle più importanti e eccezionali raccolte di corpi mummificati antichi in Italia".

Gianni Bonali