
Alle battute finali il processo per l’alluvione di Villafranca e San Martino in Villafranca del 2019. Per la sentenza udienza rinviata al 5 settembre.
La rotta del Montone trascina con sè tre richieste di condanna. La pm Federica Messina (foto sotto) le scocca al termine della sua requisitoria nel punultimo match del processo per l’alluvione di Villafranca e San Martino in Villafranca del 13 maggio 2019; per la procura l’esondazione del fiume sarebbe stata provocata dalla contestata imperizia dei tre imputati accusati di inondazione colposa, Tonino Maria Bartolotta, legale rappresentante della ditta di Martirano Lombardo (Catanzaro), esecutrice dei lavori di ristrutturazione delle arcate del ponte dell’A14 sul Montone; Michele Renzi, direttore di Tronco di Autostrade per l’Italia per Bologna e Udine al momento dei fatti; e Graziano Pastorelli, ingegnere della società Autostrade per l’Italia. Per loro Messina ha chiesto una pena di 1 anno e 2 mesi ciascuno.
Ma per sapere come andrà finire si dovrà attendere che passi l’estate: il giudice monocratico Federico Calsaboni ha infatti rinviato l’esito al 5 settembre.
Il 13 maggio 2019 l’esondazione costò ore di travaglio e interminabili giornate di privazione e sofferenza ai residenti di Villafranca e San Martino in Villafranca. L’acqua arrivava a un metro dopo il crollo dell’argine, che si inabissò alle tre del pomeriggio sotto la spinta di ore e ore di pioggia. Lughese tramutata in un Nilo di fanghiglia. Più di mille persone evacuate. Case affogate. L’angoscia ovunque. Danni per centinaia di migliaia di euro. Rabbia e amarezza a distesa in ogni maledetta sequenza. Un presagio, forse, per la tragedia del 2023. (All’inizio di quest’anno sono giunti i risarcimenti della Regione, con un rimborso complessivo di circa 600mila euro, suddiviso tra 89 alluvionati: 87 privati e 2 attività produttive; anno scorso invece il tribunale stesso riconobbe il risarcimento alla società agricola ’Fratelli Villa’ di via Lughese, difesa dall’avvocato Lisa Maltoni, si era costituita parte civile).
Dicembre 2018: dopo il controllo di una società adibita alle verifiche dei viadotti emerge che il ponte dell’A14 sul Montone ha una trave ammalorata. Va sistemata. Subito. Lavori di somma urgenza: non serve l’appalto. "Lavori d’urgenza certo, ma la comunicazione agli enti preposti, come l’Autorità di Bacino, Società autostrade la doveva fare. E invece non l’ha fatta", rimarca la pm Messina nella sua requisitoria. Da lì, per l’accusa, si sarebbe innescata una serie di negligenze che avrebbero portato alle concause del dramma del 13 maggio 2019. In primis, quella falla sull’argine sotto il ponte, che dopo le torrenziali piogge di quei giorni si tramuta in un cannone sulla sponda fluviale, "resa friabile dai lavori sul viadotto, eseguiti senza il controllo e la supervisione dei tecnici degli enti pubblici preposti, in quanto mai avvisati dei lavori", rimarca ancora Messina. Il nesso causa-effetto della presunta responsabilità degli imputati la procura lo scova proprio in quella mancata "sinergia di interventi tra Società autostrade, ditta esecutrice e tecnici dell’autorità pubblica, ignari dell’intervento". Per Messina, in un "sito così debole come quello, dichiarato tale fin dal 2003, quei lavori, eseguiti con imperizia, sono stati fatali".
Maurizio Burnacci