VALENTINA PAIANO
Cronaca

Nel nome di Amadori. Giovanni: "Mio padre non voleva che l’Irst diventasse pubblico"

Il figlio cita un’intervista del 2017 e difende la forma ‘mista’ dell’istituto: "Era il suo sogno, il suo progetto. No ai politici che cercano di controllare. Gli enti non siano preponderanti, sarebbe una cambiale in bianco".

Il figlio cita un’intervista del 2017 e difende la forma ‘mista’ dell’istituto: "Era il suo sogno, il suo progetto. No ai politici che cercano di controllare. Gli enti non siano preponderanti, sarebbe una cambiale in bianco".

Il figlio cita un’intervista del 2017 e difende la forma ‘mista’ dell’istituto: "Era il suo sogno, il suo progetto. No ai politici che cercano di controllare. Gli enti non siano preponderanti, sarebbe una cambiale in bianco".

Per la prima volta dall’inizio della crisi finanziaria che ha investito l’Irst di Meldola, Giovanni Amadori interviene sulla situazione: il figlio dell’oncologo forlivese che fondò l’istituto, oggi intitolato a lui, sottolinea l’urgenza di tutelare l’eccellenza scientifica e clinica dell’ospedale oncologico. E lo fa proprio nel giorno dell’assemblea decisiva, in cui è stato definito l’assetto che dovrebbe portare a una nuova fase.

"Ne ho lette tante sulla vicenda e quando si parla dell’Irst, occorre farlo con cognizione di causa, non per averne un ritorno in termini di mera visibilità politica o per propaganda o per ego personali – ha scritto in una nota –. Quello che bisognerebbe fare è guardare alla storia dell’Istituto che mio padre ha voluto, costruito e amato. Il suo sogno, il suo progetto". Amadori difende la compagine sociale attuale, che unisce il pubblico e il privato: "È una struttura votata alla ricerca e alla cura del cancro. Un punto fermo non solo per la Romagna, anche per l’Italia e l’Europa. Trasformarlo in un ente pubblico puro ‘regionale’ come oggi qualcuno propone, anche nelle sedi istituzionali, sarebbe un grave errore".

Secondo il figlio del medico cambiare la forma societaria equivarrebbe a "firmare una ‘cambiale in bianco’" e "consegnarlo ad ‘altri’". Un assetto che non andrebbe modificato: "La sua forza è stato il modello ibrido voluto con coraggio e lucidità da mio padre. Il privato, con la sua capacità di investimento e progettualità dà l’impulso alla ricerca mentre il pubblico garantisce struttura, accesso e credibilità istituzionale – sottolinea Amadori –. Ma quest’ultimo non deve essere preponderante. Eppure, oggi assistiamo a proposte sconnesse e fuori luogo che propongono di modificare la natura giuridica dell’Istituto. Sarebbe un errore irreparabile".

Giovanni ha fondato un’associazione non profit che porta il nome di Dino Amadori. E difende la visione dell’oncologo, quella di un istituto capace di "proiettarsi oltre" e "senza vincoli politici". Nel 2017, l’allora direttore scientifico dell’Irst, Dino Amadori, dichiarava alla stampa locale – parole riportate da Giovanni – che la politica mirava a controllare l’ospedale oncologico e si diceva pronto a vigilare affinché ciò non accadesse mai.

Il figlio di Dino non vuole negare le difficoltà economiche e apre una riflessione: "Credo che non si possano affrontare gravando sulla generosità e sulle elargizioni dei malati" (cosa che è accaduta nel bilancio 2023, come segnalato dal Carlino nei mesi scorsi) "né sulla memoria di chi ha voluto bene a mio padre, né sui medici che con lui hanno contribuito a rendere l’Istituto quello che è oggi. Inoltre, ritengo non si possa pensare di risanare il bilancio ricorrendo alle risorse del cinque per mille pensate per sostenere la ricerca e non per colmare disavanzi gestionali".

In conclusione, Amadori lancia poi un appello: "Invito gli imprenditori romagnoli a contribuire concretamente per superare questo momento delicato. Un patto civico tra l’Istituto e il mondo aziendale del territorio". E chiede con fermezza: "Basta con i politici che parlano solo per sentito dire e che vogliono solo visibilità".