"Pronto soccorso di Forlì, le soluzioni: pagare di più i medici e assumere i giovani"

Andrea Fabbri, primario della Medicina d’urgenza a Forlì: "Si mettano sotto contratto gli specializzandi"

Andrea Fabbri, primario della Medicina d’urgenza a Forlì

Andrea Fabbri, primario della Medicina d’urgenza a Forlì

Forlì, 25 gennaio 2023 - "Con le proteste e l’indignazione non si va da nessuna parte, è ora di pensare alle soluzioni". Il dottor Andrea Fabbri è il primario del Pronto soccorso e Medicina d’Urgenza di Forlì, la trincea della nostra sanità. Le critiche per le lunghe attese sono ricorrenti da anni, ma ora si riparla del sistema dell’emergenza-urgenza dopo il taglio della Mike a Meldola.

Dottor Fabbri, partiamo dai numeri: quante persone vanno al Pronto soccorso di Forlì?

"Sono circa 50 mila accessi all’anno, in media 25 al giorno. Il 20% finisce con il ricovero".

Quanti ricevono i codici bianchi e verde, definiti non urgenti?

"Il 30-40% del totale, ed è un problema perché rischiano di paralizzare l’attività. Non giudico le persone che arrivano al P.S. anche con una tonsillite, ma faccio notare che è scontato a quel punto attendere anche per molte ore: ci sono sempre, a tutte le ore, casi più gravi. È una situazione di disagio per i pazienti, ma anche di grande imbarazzo per me e i miei colleghi, che abbiamo intrapreso questa attività professionale perché ci crediamo".

In linea di massima, il paziente che si presenta al P.S. non ha ottenuto risposte altrove: come mai?

"È un problema generale, che esiste dovunque, non solo in Romagna. E si tenga conto che veniamo da 3 anni che hanno aggravato tutto: sono andati in crisi sia la medicina territoriale, dunque gli ambulatori dei medici di base, sia gli ospedali. Il Pronto soccorso è nel mezzo".

Quanti medici vi mancano?

"Dovremmo essere 26, invece siamo solo 15".

Ausl Romagna ha fatto dei concorsi, ma i professionisti non si trovano: è così?

"Negli ultimi due anni, ben sette concorsi per assumere medici. Risultato: su 35-40 posti disponibili a livello romagnolo, ne saranno stati coperti 5-6. Gli specialisti dell’emergenza sono già occupati altrove. In tutta Italia si stima ne servano 4 mila". ù

Perché succede?

"Le condizioni di lavoro sono impossibili e lo stipendio è analogo a quello degli altri medici ospedalieri. Essere medici di P.S. comporta per esempio l’onere di 6-7 notti al mese, la maggior parte dei festivi, grandi responsabilità in un contesto di grande pressione sia fisica che psicologica".

In questo quadro molto preoccupante, quali soluzioni possono esserci?

"La bacchetta magica non ce l’ha nessuno, tutto il mondo si misura con questi problemi. Tuttavia si potrebbe andare verso la direzione giusta".

Facendo cosa?

"Primo: pagando di più i medici del Pronto soccorso. Se svolgo un incarico che non trova professionisti disponibili, devo avere un riconoscimento adeguato, mi pare normale. Sarebbe un incentivo a trovare personale".

Altre possibili risposte?

"Utilizzare per l’attività clinica gli specializzandi, compresi quelli delle discipline equipollenti, come accade in altri Paesi europei, dove addirittura hanno responsabilità di interi reparti. Da noi fino a 30 anni possono solo assistere: è assurdo. Si facciano contratti specifici a loro".

Da molti anni si ragiona su ambulatori intermedi fra i medici di base e il P.S., per curare i casi meno urgenti: perché non si parte mai?

"L’istituzione dei nuclei di cure primarie ha dato risultati minimi. Ben vengano le Case di salute purché i pazienti meno gravi e con patologie croniche trovino le soluzioni là e non nei Dipartimenti di emergenza in ospedale, che oggi sono paralizzati dal numero di questi casi. Nel caso sarebbe necessario anche una riorganizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale".

Esempi da altri Paesi?

"Faccio parte dell’ufficio di presidenza della Società Italiana di Medicina di emergenza Urgenza (Simeu) e le posso dire che in Italia il 30% della popolazione va almeno una volta all’anno al Pronto soccorso, in Germania invece solo l’8%, in Olanda il 10%. Esistono dei filtri, che indirizzano le persone verso gli ambulatori territoriali, proprio per non ingolfare i P.S.".

In alcune regioni italiane invece si ricorre alle cooperative dei medici. Cosa ne pensa?

"Non è una soluzione, anche perché il personale spesso non è formato adeguatamente e nessuno controlla. Da noi ancora questi sistemi non sono stati adottati".

La soppressione dell’auto medicalizzata allarma cittadini e istituzioni: qual è il suo parere?

"È una decisione dettata dallo stato di necessità senza alternative".

Nel breve periodo avete qualche idea per attutire i disagi?

"Stiamo cercando la disponibilità di alcuni medici ospedalieri per fare turni di notte al Pronto soccorso. Vedremo, sarebbe comunque un passo avanti".