
di Serena D’Urbano
"Ci sono persone che hanno capito che il dono guarisce il dolore. Come Nadia e Giorgio. Io penso che sia stata Sara a portarli da me".
Emanuela Pedri, lei domani sarà a Nanno, in Trentino, per un evento speciale in memoria di Sara. Un nuovo albero, simbolo di vita, una nuova casetta postale, dove raccogliere i messaggi per sua sorella.
"Sì, vado su con mia mamma Mirella per il compleanno di Nadia Sandri, una donna che è entrata nella nostra vita attraverso Facebook perché sente Sara come la sento io, pur non avendola mai conosciuta. La sua famiglia si è avvicinata alla mia, dimostrando sostegno e vicinanza".
Come si è concretizzata questa vicinanza?
"Circa un anno dopo la scomparsa di Sara, con Sergio Moratti, Nadia ha dato vita ad un evento che mi ha stupito e commosso. Insieme al sindaco di Cles, alle istituzioni, alle forze dell’ordine, all’azienda sanitaria di Trento e a persone che hanno perso i loro cari, hanno lamentato una piaga importantissima di quella comunità: ogni anno c’è chi si butta dal ponte di Mostizzolo. La tragedia di Sara ha risvegliato le coscienze, sottolineando un problema enorme".
Un evento pubblico a cui ora, però, segue un’iniziativa decisamente più intima, in linea con quanto già avvenuto al parco urbano di Forlì.
"Nadia e suo marito Giorgio sono proprietari di un meleto che costeggia una stradina calpestabile, accessibile a tutti. Il 23 giugno, per il compleanno di Sara, abbiamo adottato un melo, ma l’alluvione non ci ha permesso di dare rilevanza alla cosa. C’era ben altro a cui pensare".
Ora è il momento giusto e il progetto sta crescendo.
"Abbiamo pensato di portare anche lì una casetta postale, da apporre insieme alla targa che già c’è. Ne ho fatta creare una dai colori ’azzardati’, com’era Sara, grazie ai ragazzi delle Casine dell’Enaip di Cesena".
Perché la casina?
"Servirà a custodire i pensieri di quanti vorranno fare visita all’albero di Sara. L’idea dell’albero è nata da mia mamma ma io volevo ’contestualizzarla’. L’albero è vita, ha già di per sè un significato profondo, ma io volevo dargli un’anima e la casetta consente di far nascere relazioni, che è poi la base del mio progetto ed è quello, dopo Forlì, che vorrei portare anche a Nanno".
Qui ha già ricevuto centinaia di messaggi, confluiti in un album, e l’acero del parco urbano è diventato luogo di scambio e di incontri profondi.
"Di recente al parco ho conosciuto Roberto Visconti, padre di Daniele, morto a 24 anni per un finto amore virtuale. Visconti va spesso all’albero di Sara".
Cosa vi siete detti?
"Io e mio marito siamo genitori di due ragazzi ’social’. Il dolore di Roberto è il nostro dolore. Gli ho detto che lo comprendo, ma che non deve colpevolizzarsi. Dopo pochi giorni, ho scoperto che sarebbe andato a tenere un incontro al Saffi-Alberti, la scuola di mio figlio. Vede, nessun incontro accade per caso".
Sara non era una ragazza social, lei teme per l’intimità spesso facilmente violata dei giovani di oggi?
"Io credo che con i social siamo tutti esposti, siamo vittime di potenziali carnefici, perché i post non sono più un’intimità sfogata entro certi confini, come quando scrivevamo i nostri pensieri in un diario segreto. Quel lucchetto non c’è più".
La casina delle lettere è un po’ un ritorno a un diario segreto?
"Esattamente. E’ il tuo pensiero che finisce in un posto protetto. Un’emozione che io riservo a qualcuno, in questo caso a una persona che non è più in terra. Ma sono tutti messaggi che salvano, non distruggono. Non possono essere distorti, sono autentici. Anche Roberto Visconti con il suo libro vuole dare un messaggio e può salvare delle vite, delle famiglie. Ha avuto tanto coraggio".
La cosa che stupisce delle relazioni nate dopo la scomparsa di Sara è che si tratta quasi sempre di estranei che si sono avvicinati a lei.
"Per me è un miracolo. Ha dell’incredibile. Ci sono persone che hanno bisogno di compiere azioni generose senza alcun tornaconto. Come Nadia e Giorgio. Anzi, non solo non c’è guadagno: le relazioni richiedono tempo e impegno costante".
Sono persone che hanno conosciuto il suo stesso dolore?
"Il dolore ci accomuna tutti, non ce n’è uno più grande di altri. Ma sa qual è il segreto?"
Quale?
"Il dolore lo devi donare. Te lo devi togliere di dosso, almeno una fetta e donarla... altrimenti esonda. E così accade che, mentre doni, dall’altra parte ricevi. Capisci che non sei la sola ad aver perso una sorella, una figlia, un’amica. E dal dolore nasce uno scambio, un ’cosa possiamo fare insieme’".
Qual è oggi il suo principale obiettivo per onorare Sara?
"Sento l’esigenza, come tutti coloro che hanno perso qualcuno tragicamente, di portare a compimento qualcosa che non ho potuto compiere prima. Mi sentivo in colpa per non essere riuscita a salvare Sara e sto provando a farlo adesso. Perché lei per me c’è ancora: io non mi arrendo al ’terreno’. Non è passato un giorno in questi due anni in cui io non abbia parlato di lei. Sto trasformando la rabbia e il dolore in comunicazione: questo è il mio percorso".