SOFIA VEGEZZI
Cronaca

Una generazione al telefono. Il progetto per disintossicarsi: "Si è perso il senso di identità"

In arrivo l’iniziativa della psicologa Milena Benzoni: un’ora e mezza insieme, ma senza dispositivi. "Non hanno più interessi esterni, perciò tendono a sentirsi dei fallimenti".

In arrivo l’iniziativa della psicologa Milena Benzoni: un’ora e mezza insieme, ma senza dispositivi. "Non hanno più interessi esterni, perciò tendono a sentirsi dei fallimenti".

In arrivo l’iniziativa della psicologa Milena Benzoni: un’ora e mezza insieme, ma senza dispositivi. "Non hanno più interessi esterni, perciò tendono a sentirsi dei fallimenti".

Il rapporto degli adolescenti con il telefono è una questione che ormai da diversi anni occupa i pensieri di genitori, insegnanti, istituzioni ed esperti di vario livello, che s’interrogano costantemente sul corretto bilanciamento tra i giusti limiti da imporre ai ragazzi e il timore di limitarne la socialità e la capacità di sviluppare le relazioni di amicizia, che inevitabilmente oggi si basano anche su strumenti come i social media.

È proprio per proseguire questa riflessione che nasce ’Dietro a quel telefono ci sono io’, il progetto di Milena Benzoni, psicologa specializzata nell’età infantile e adolescenziale, che mira a riunire i giovani in gruppi, per sessioni di un’ora e mezza ciascuna presso il Centro Ohana (tel. 3496972562), durante le quali farli staccare dal cellulare per ritrovare quella dimensione di incontro con l’altro faccia a faccia, così essenziale in questa fase dello sviluppo della personalità e del posizionamento nel mondo di ciascuno di loro. L’idea alla base è di condividere le proprie esperienze ed emozioni, per capire quali sono le tematiche e le difficoltà che accomunano i pensieri degli adolescenti di oggi, aiutandoli a creare nuove amicizie, anche tramite modalità collaterali come l’utilizzo della musica e di lavoretti manuali.

"Lo spunto è nato dalle sedute con i miei pazienti abituali, che si sono fin da subito interessati al progetto – spiega la dottoressa Benzoni –. In particolare nei ragazzi tra i 16 e i 18 anni noto un fortissimo senso di solitudine e di perdita dell’identità: sono ormai definiti solo dalla scuola, verso la quale provano, di conseguenza, una pesantezza quasi invalidante. Non hanno interessi esterni, raramente praticano sport, musica o simili, e passano molte ore in casa da soli, vista l’assenza fisica dei genitori, spesso occupati al lavoro. Come sfruttano quindi questo tempo libero? I maschi soprattutto davanti ai videogiochi, mentre entrambi i sessi si dedicano molto ai social media. Così non hanno modo di stringere nuovi rapporti, né di confrontarsi realmente con i loro coetanei".

La domanda sorge spontanea: questo senso di alienazione dei nostri ragazzi nasce solo dalla pervasività di internet tra le loro abitudini o c’è altro alla base? "È difficile generalizzare, ma si tratta sicuramente di una generazione nata dietro ad uno schermo – spiega la psicologa –. Gli adolescenti avvertono dei sentimenti anche negativi tipici della loro età, tendenzialmente di ansia o tristezza: ma invece di sperimentarli nel profondo, con la scomodità e il dolore che ne derivano, bloccano queste emozioni, come facciamo anche noi adulti, spegnendo il cervello". Ma ciò che può sembrare un valido antidoto, si trasforma in realtà in un elemento che appesantisce ulteriormente il vissuto negativo dei più giovani: "Online vengono continuamente tempestati da video negativi, di risse e violenze di ogni tipo. Questo accentua quell’ansia fisiologica della loro età, per cui si sentono sempre di più un fallimento, delle nullità".

Benzoni non è l’unica ad interrogarsi su questa forma di disagio giovanile, né a cercare una modalità per aiutare i ragazzi ad uscirne: è recente l’annuncio del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che promette di vietare l’accesso agli smartphone anche per gli studenti delle scuole superiori, a partire dal prossimo anno scolastico. "Secondo me, questo tipo di interventi applicati all’ambito scolastico lasciano il tempo che trovano – approfondisce la psicologa –. Gli ambienti in cui questa dipendenza si sviluppa maggiormente sono la casa e il tempo libero, ed è per questo che io con tutti i miei ragazzi cerco di puntare sulla ricerca delle loro passioni e dei talenti. Perché se non hanno nulla oltre alla scuola, nel momento in cui prendono un voto negativo questo li definisce, aumentandone il senso di fallimento. Invece, se si sentono soddisfatti anche in altri ambiti della loro vita, sarà più semplice anche l’approccio allo studio".

E i genitori, di fronte a quest’evoluzione nell’approccio dei figli alla socialità, come dovrebbero comportarsi? "Su questo sono categorica: bisogna porre un limite di ore al giorno da non superare, e farlo rispettare, impiegando quel tempo libero per stare con loro in un’attività positiva da creare insieme".