Forlì, 27 novembre 2011 - Da Porto Viro, un paesino nel Veneto grande quanto Forlimpopoli, è partito alla conquista del mondo. Due Europei, quattro World League, una Coppa del Mondo, un argento Olimpico. Oltre agli spiccioli casalinghi: due campionati, tre Champions League, una Coppa delle Coppe e giù, a cascata, due Supercoppe Europee, una Coppa del Mondo per Club, due Coppe Cev, una Coppa Italia. Con la bacheca di Vigor Bovolenta, 37 anni, ci si potrebbe riempire un settore del PalaCredito. Fare l’elenco dei suoi trionfi è addirittura noioso. Meglio farseli raccontare da lui, che lasciata la nazionale ha scelto Forlì — prima in A1, ora addirittura in B2 contro ragazzetti che non dovrebbero neppure pulirgli le suole — come destinazione finale di una carriera supersonica.

Da dove viene il nome Vigor?
«E’ una lunga storia... Mio fratello e mio sorella andarono al circo, io ero ancora nella pancia della mamma. Videro questo fenomenale trapezista russo e tornarono a casa convinti che si chiamasse Vigor».
Invece era Igor.
«Credo proprio di sì. Ho cercato notizie del trapezista Vigor per tutta la vita, mai trovate. Credo di essere l’unico al mondo a chiamarsi Vigor».
Suo fratello Antonio se ne andò giovanissimo.
«Più di vent’anni fa, leucemia. Io avevo 16 anni. Il 7 luglio del 1990 io mi trasferii a giocare a Ravenna. Il 13 ottobre dello stesso anno se ne andò Antonio. Non smetterò mai di dire che è anche merito loro se ho fatto quel che ho fatto».
Rimpiange quegli anni vissuti lontano dagli affetti?
«Ogni tanto penso: ma se mio figlio venisse chiamato lontano da casa, che farei? Sarebbe dura. Te ne accorgi solo da padre».
Che farebbe, Vigor?
«Alla fine credo che lo lascerei andare. Perché i sacrifici a me sono serviti. Ho imparato presto ad essere uomo».
E a fare le lavatrici.
«Anche quelle. A 18 anni sono andato a vivere da solo».
E con i figli com’è?
«Iperprotettivo come tutti i genitori».
Anche sua moglie, Federica (Lisi, ex pallavolista)?
«Ci siamo conosciuti nel 1997, io ero a Ferrara e lei giocava a Napoli. Sono passati 14 anni, il prossimo ne facciamo 10 di matrimonio».
Con quattro figli all’attivo. E le ultime due gemelle.
«Aurora e Angelica gli si illumina il viso), sono nate il 7 gennaio 2011».
Com’è stato l’impatto coi gemelli?
«Mica facile... Avevamo già un maschio e una femmina, io ero a posto così ma mia moglie insisteva».
Chi l’avrà avuta vinta...
«Lo sa come sono le donne. Andò a fare l’ecografia e io portai al mare i due bimbi. Mi chiamò e disse: tutto bene, ma c’è una novità. Capii subito. All’inizio è stata una botta».
Da giocatore di pallavolo ha vissuto a Ravenna, Roma, Palermo, Ferrara, Modena, Piacenza, Perugia, Forlì. C’è una città nella quale proprio non si è ambientato?
«No, perché sono un tipo che si adatta. E alla fine me ne sono sempre andato lasciando lì una lacrimuccia. Mia moglie poi... A Piacenza ho aperto uno studio di fisioterapia, a Ravenna siamo andati a viverci».
E Forlì? E’ una tappa o una destinazione?
«Spero di essermi fermato. Ho firmato per quattro anni: due da giocatore e due in società. E sono felicissimo di poter sviluppare un progetto di ripartenza per il volley».
Che adesso è ai minimi storici: B2, contro Grottazzolina e Forlimpopoli.
«Siamo sott’acqua. Respiriamo con la cannuccia».
E quella cannuccia è Vigor Bovolenta, che recupera sponsor.
«Più in generale mi occupo dell’area commerciale. Do una mano al presidente Gavelli, sto imparando».
Che tessuto economico ha trovato? Com’è il rapporto tra piccole-medie imprese e sport?
«Avevo sempre sentito dire che Forlì è una città legata al basket. Ma ho in mente le 5.500 persone in coppa Italia. O le 500 che andarono a Verona per la promozione in A1. Sono ricordi che danno speranza».
E qual è, la speranza?
«Entro cinque anni voglio essere seduto in tribuna a vedere Forlì in A1, in un bel palazzetto pieno».
Chiede poco...
«E’ ragionevole. Secondo me si può fare. Sarà che sono un tipo ambizioso».
E’ anche Cavaliere della Repubblica.
«Ho lo spillone in un quadretto, a casa».
E’ patriottico?
«Sì. Stamattina ho sentito l’inno alla radio e mi sono emozionato. Come sempre».
Le succedeva anche prima delle partite? O era troppo concentrato?
«E’ ancora più bello. Quando si gioca all’estero, magari in Brasile o in Argentina, con 6-7mila persone contro...».
Qual è lo sponsor principale del Volley Forlì?
«Ancora non si sa. Ma le do una notiziona: presto potrebbero esserci grosse sorprese. Ora non posso parlare. O mi licenziano».
Ma si può diventare ricchi con la pallavolo?
«Ricchi d’animo, forse».
A parte gli scherzi. Lei è rimasto per un decennio sul tetto del mondo. Non avrà bisogno di lavorare per il resto della vita...
«Guardi, mi sono costruito una bella casa a Ravenna. Poi se una persona è abbastanza intelligente, riesce a gestire una vita un pochino più tranquilla. Ma non posso smettere di lavorare: bisogna portare a casa lo stipendio tutti i mesi».
E in B2, si diverte ancora a giocare?
«Tantissimo. Se qualche volta mi innervosisco è solo perché voglio vincere. E poi alla mia età devo essere sempre al massimo per stare lassù: questi giovani non vedono l’ora di mettermi sotto».