di Fabio Gavelli
"Il mio anno a Forlì? Come potrei dimenticarmelo. Fui spedito in Romagna come un pacco postale, ma da voi fui trattato da Dio. Fosse dipeso da me, sarei rimasto altre stagioni". Renzo Bariviera, classe 1949, è stato – assieme a Marco Bonamico – il giocatore italiano dal palmares più prestigioso che abbia indossato la maglia del basket forlivese. Fu la stella della Jollycolombani nel 1975-’76, in serie A1, quando era da anni una colonna della nazionale, con cui aveva conquistato due bronzi agli Europei. In quel campionato, con Denis Ozer allenatore, ’Barabba’ segnò 21,2 punti a partita e conquistò 7,6 rimbalzi: numeri da super americano. Dal 1978 al 1983 fu un punto di forza di Cantù, domenica prossima avversaria di Forlì all’Unieuro Arena, con cui vinse tutto: scudetto e Coppa Campioni. Oggi vive a Conegliano Veneto.
Bariviera, cosa ricorda del suo sorprendente arrivo a Forlì?
"Eravamo a Roseto per una gara della nazionale. A fine incontro, mi avvicinò Bruno Battistini, dirigente della Libertas Forlì, e mi disse: ’Ti abbiamo preso noi’. All’epoca funzionava così, ora è cambiato tutto. I tesseramenti scadevano a mezzanotte, per cui facemmo una corsa in macchina fino a Forlì".
Battistini è ancora ricordato per i suoi colpi del mercato.
"In auto mi descriveva i futuri compagni di squadra. Diceva: ’Il play è Rosetti, che assomiglia a Jellini, Zonta è un tiratore alla Brumatti, Fabris ricorda Della Fiori...’, a quel punto gli feci: ’Allora a che cosa vi servo?’.
Il suo anno forlivese è rimasto negli annali, a parte il settimo posto assoluto, per la sua ’magata’ contro la Chinamartini Torino. Come andò quel finale?
"A 3 secondi dalla fine eravamo sotto di 3. Fallo per noi, vado in lunetta. Con la coda dell’occhio vedo un po’ di gente abbandonare il Villa Romiti. Mi dico: ’no, questi li faccio rientrare’. Segno il primo, sbaglio apposta il secondo, agguanto il rimbalzo e vado a canestro. Al supplementare l’abbiamo vinta noi".
Che atmosfera c’era allora a Forlì?
"Bellissima. La gente partecipava un sacco, c’era pressione. Se la domenica perdevi, poi il lunedì ti fermavano per strada a chiederti spiegazioni. A Milano, da dove venivo, l’ambiente era anonimo. Mi auguro che da voi qualcuno si ricordi ancora di Steve Mitchell: grande giocatore e grande uomo. Un pivot fenomenale, rimbalzista di valore assoluto. L’anno dopo fui trasferito al Gira Bologna: andai via da Forlì quasi piangendo".
E a Cantù come si trovò?
"La società era organizzata come nessuna in Italia, dalla sala pesi al chiropratico. Riusciva ad avere grandi sponsor, come Ford e Gabetti. E poi c’era Bianchini coach. A Milano ci allenavamo 3 volte la settimana, a Cantù, prima del campionato, 3 volte al giorno. I risultati furono una conseguenza di tutto quel lavoro".
Quando chiuse la parentesi canturina, ebbe modo di vedere all’opera un ragazzino del vivaio che poi fece grandi cose a Forlì: Corrado Fumagalli.
"Come no? Era bravissimo, passava la palla molto bene. Però a Cantù aveva davanti Marzorati".
Bariviera, oggi segue la pallacanestro?
"Poco. Mi interessano i giocatori italiani, ma in A1 non mettono quasi piede in campo. Qualche volta sono a Milano per Melli, altre a Bologna per Belinelli e Mannion. Qualche minuto, poi tornano in panchina. Ma di vedere una partita con 10 stranieri sul parquet che non sai neppure chi siano, non mi interessa".
Del campionato di A2 conosce qualcosa?
"É difficile... Volevo andare a una partita proprio di Cantù, perché in panchina c’è Meo Sacchetti, con cui ho giocato, ma non è ancora successo".