Forli, 27 gennaio 2011 - Il desiderio era di invecchiare con lui, ma se nel carrozzone dell'A Dilettanti il romanticismo è una debolezza consentita, in LegaDue è sentimento bandito, quasi perseguitato. La poesia non dimora più qui. La riconoscenza? Un sentimento che ti fa onore, ma ahinoi, non va a canestro, non dà reddito. E allora Toto Forray se ne va, il cuore piange solo a pensare a un simile epilogo, temuto, prima schivato ora accettato a stento, un sacrificio sull'altare dei conti della serva e del tremolante futuro di Forlì. Toto va, ma resta dentro una città che conquistò fin dal primo giorno. Lui, umile argentino con quel naso tortuoso, che a noi piace pensare frutto di un fallo di sfondamento, della sua folle mania di difendere su chiunque gli si parasse davanti, fosse anche un tram.

Tre anni, e ora che la parola fine è davvero scritta, ti scorrono davanti agli occhi in un lampo. Il ragazzo arriva nell'estate 2008, ha 22 anni, Arpaia lo prende da Jesolo Sandonà per fare il cambio di Davolio: Toto è affamatissimo, impiega poco a prendersi il Villa Romiti, ubriacandolo in una domenica di fine ottobre contro Treviglio. Difesa, corazon e anche cabeza per lo scugnizzo di Buenos Aires, ai tifosi piace da morire perché si sbatte, in campo dà tutto, anzi di più, toglie l'aria al play avversario, ruba palloni a rimi industriali, poi non se la tira. Si capisce presto che merita di più, 'Ma io non sono venuto qui per rubare via il posto a Davolio', premette, eppure Di Lorenzo comincia a pensare che sia una buona idea. A febbraio 2009, in un match cruciale per i playoff, la FulgorLibertas sta miseramente affondando in casa con Fidenza, dopo 13 minuti è 33-53. Il piccolo argentino pompa la rimonta, nell'ultimo quarto recupera 8 palloni, Forlì vince, Toto segna 27 punti, idolo assoluto. Quando con Casalpusterlengo la stagione finisce, come al solito male, il coach bussa in società: Toto è pronto a fare il play titolare, 'Ha dei margini di miglioramento in attacco che nemmeno lui si immagina', giura Di Lorenzo.

Lo ascoltano, Davolio sguscia via col suo passato ingombrante, eppure lo scetticismo sul piccolo argentino ancora c'è, ma Toto fa spallucce. Ha sempre fame, poi si sente forte: la città lo ama e lui la vive intensamente, ci trova la ragazza, Alessandra, il fratello Matias diventa il suo primo fan, col viso biancorosso e la malefica vuvuzela appiccicata alle labbra. Toto ha le chiavi in mano di un sogno chiamato LegaDue. Ed è lui l'anima della squadra che schianta a ripetizione i cervelloni medagliati della Fortitudo.

Marzo dell'anno scorso, gara del girone di ritorno al PalaDozza, nella tana dell'Aquila è in palio il primato della stagione regolare. A un paio di minuti dalla sirena la FulgorLibertas ha 5/6 punti di vantaggio: Toto ruba palla in difesa e parte in contropiede, Di Lorenzo urla, gesticola. Vuole che il play congeli palla e gioco: Forray, in totale trance agonistica, si catapulta in tre secondi sotto la curva della Fortitudo. Poi una follia, si passa la palla dietro la schiena, la perde, la sfera finisce a Frassineti che tira cadendo all'indietro. Canestro, contro ogni legge della gravità, PalaDozza ammutolito, Di Lorenzo scuote la testa e si mette le mani sugli occhi: quei due sono pazzi, ma lui è pazzo di gioia. Forray è l'incubo di Lamma, mica uno qualsiasi, un play che in casa ha da qualche parte una medaglia di bronzo vinta agli Europei. Un duello che durerà 10 partite.

Toto non si ferma mai, nemmeno quando lo prendono a bastonate. In gara 2 della finale con Barcellona si spezza una mano. Il coach dei siculi, il volpino Gramenzi, non ci crede, è certo sia sia un trucco. Ma Toto la mano se l'è rotta per davvero, gli era già capitato un anno prima, a Lodi, nella semifinale playoff. Solo che allora Toto assistette in borghese, col gesso al collo, alla disfatta e alle perfidie di Picazio. Stavolta no, la tuta è la sua seconda pelle, e un tutore spunta a guscio dell'arto offeso. Pare impossibile, eppure Toto gioca. E come gioca. Diventa un pettirosso da combattimento, con un'ala spezzata, ma capace di acrobazie impensabili.

 Il ragazzo è ancora giovane, ma la finale bis con la Fortitudo resterà il suo capolavoro, qualsiasi cosa accada di qui in avanti nella sua carriera. In gara 2 è devastante e quando al PalaDozza scende in campo da solo per il riscaldamento pre-partita, il pubblico Fortitudo si scaraventa contro le transenne per insultarlo, 'Devi avere per tutta la vita quella mano rotta'. Ma attenzione, sono insulti figli della paura, della certezza di avere di fronte un avversario formidabile, più forte di ogni dolore, un vomito rabbioso contro un rivale inscalfibile che tutti i procuratori d'Italia stanno già pedinando. 'Mano rotta, palle d'acciaio', è il titolo che gli dedica Forlìbasket. E poco importa che in una maliconica serata di giugno Toto manchi il tiro della leggenda nella gara5 contro l'eterna nemica Bologna. Qui nessuno lo ricorderà per quello che non è stato, ma solo per quello che è stato: un mito.