2008-09-04
TUFFARSI, lasciare alle spalle le preoccupazioni, riemergere dall’acqua, tornare a respirare. Ma non è sempre liberazione. I tuffi di testa o gli urti sui fondali in acque basse provocano comunemente traumi cranici, fratture e lesioni a carico della colonna vertebrale, determinando danni spesso irreversibili e altamente invalidanti. Gli incidenti da tuffo sono la seconda causa di tetraplegia in Italia, dopo gli incidenti stradali, e mediamente rappresentano il 5-7% dei casi di lesione spinale che hanno portato a un ricovero presso l’ospedale di Montecatone negli anni 2006 – 2007.

«UN TUFFO in condizioni di non sicurezza può determinare un trauma a livello cervicale e, quindi, una lesione di tipo midollare, con perdita della sensibilità e delle capacità motorie ai quattro arti (tetraplegia) o solamente agli arti inferiori (paraplegia) — spiega Giovanna Ferrara, medico fisiatra del Montecatone Rehabilitation Institute —. Generalmente nei tuffi la lesione avviene a livello cervicale, compromettendo gli arti superiori e inferiori, oltre agli organi interni, in particolare vescica e intestino. In questi casi, in base alla variabilità del quadro clinico, vi sono differenti possibilità di recupero della funzionalità motoria e sensoriale. Il tipo di danno è determinato dal grado di lesione a carico dei fasci nervosi che costituiscono il midollo. Quindi possiamo avere sia delle lesioni complete, con perdita totale di motricità e sensibilità, oppure lesioni parziali, che risparmiano alcune aree motorie o sensoriali».

OLTRE AL DANNO fisico, eventi traumatici come questi comportano anche forti conseguenze da un punto di vista psicologico. «Le conseguenze nell’immediato sono di stupore e di incredulità rispetto al fatto che sia potuto accadere qualcosa che ha interrotto il senso di continuità della propria esistenza — aggiunge Daniela Rossetti, psicologa e psicoterapeuta del Centro di riabilitazione —. Solitamente si tende a pensare che sia una realtà transitoria, o ad attribuire colpe e responsabilità a se stessi o a altri. È caratteristico della fase post-traumatica il senso di totale impotenza o di passività, con tendenza a delegare ad altri quello che si potrebbe fare autonomamente, oppure al non accettare di avere bisogno delle cure degli altri. Un atteggiamento che fa parte del disturbo post-traumatico da stress: le persone ricoverate a Montecatone non hanno un disturbo psichico, ma un disagio psicologico causato dall’enormità dell’evento e dalle sue conseguenze».
Come superare questo trauma?
«Il termine superare fa pensare all’andare oltre: credo invece che nella vita nessuno possa veramente oltrepassare indenne un evento traumatico. Nessuno è attrezzato al trauma: parliamo di ‘processo di adattamento’, possibile con le risorse personali, relazionali, familiari, affettive. Nel percorso di cura viene proposto un aiuto psicologico al paziente attraverso un primo colloquio conoscitivo, per valutare come la persona dà significato a questo momento della sua vita, e al quale può seguire una presa in carico psicologica. E’ presente, inoltre, un’equipe multidisciplinare che elabora un progetto riabilitativo individualizzato, all’interno del quale lo psicologo contribuisce fornendo una valutazione delle caratteristiche psicologiche della persona».