San Valentino 2019, Uto Ughi a Imola. "Suono per gli innamorati"

Allo Stignani con il quartetto capitanato dal violinista

Uto Ughi (Archivio)

Uto Ughi (Archivio)

Imola (Bologna), 14 febbraio 2019 - Violini da leggenda, trilli d’arte per innamorati nell’esecuzione di Uto Ughi, genio del pianoforte d’origini istro-venete, una casa padronale a Pirano, terra di fuga dalle foibe, di fronte alla statua di Tartini. Un’anima sulfurea e pirotecnica, l’altra più riflessiva e sognante, il patrono dei violinisti peninsulari stasera per San Valentino sul palco dello Stignani spanderà meraviglie in quartetto. Lo accompagnano dalle 21 Maryse Regard al violino, Raffaele Mallozzi alla viola e Luca Pincini al violoncello.  

Maestro, questa ‘reunion’ di solisti è un bel cadeau per chi ama la musica da camera.

«Che reputo la più bella. Il repertorio dedicato agli innamorati con due opere come ‘L’Americano’ di Dvorák e ‘La Morte e la Fanciulla’ di Schubert è quello più centrato sul tema».

Porta sempre con sé i suoi due magnifici violini?  

«Inevitabilmente. Sarebbe come chiedere a un aviatore se innesta sempre la cloche prima del decollo: il mio Guarneri del Gesù del 1744, suono caldo, timbro scuro, uno dei più bei esistenti; e uno Stradivari del 1701, ribattezzato ‘Kreutzer’ perché appartenuto al violinista francese Rodolphe cui Beethoven dedicò l’omonima sonata n.9 dopo averlo conosciuto all’ambasciata francese di Vienna».

Il suo impegno riguarda anche il salvataggio del patrimonio artistico italiano, con progetti quali Omaggio a Venezia e Omaggio a Roma.  

«Il primo è servito a raccogliere fondi per il restauro dei monumenti storici della Serenissima. ‘Omaggio a Roma’ ne ha raccolto l’ideale eredità, mirando alla diffusione del grande patrimonio musicale internazionale, allestendo concerti aperti al pubblico e alla valorizzazione dei talenti formatisi nei conservatori italiani. Ideali portati avanti dal festival ‘Uto Ughi per Roma’».  

L’apprendimento della musica ci migliora?  

«La musica fa parte della nostra civiltà, affina la sensibilità, è scuola di educazione estetica straordinaria, chi l’apprende è pervaso da un desiderio di perfezionamento».   In Giappone i bambini di quattro anni sanno suonare Vivaldi: può avvenire la stessa cosa in Italia?  

«Ho sempre ammirato i giapponesi, che tra l’altro hanno un’incredibile scuola di filosofia educativa musicale elaborata dal violinista Shinichi Suzuki, uno psicologo che mi ha parlato della musicalità latente in ognuno di noi. Lui ha saputo tirarla fuori, creando un metodo che è scuola di vita straordinaria».

Pensa d’aver realizzato un’immagine e una storia vicine alla sua essenza di artista inafferrabile?

«Ci ho provato, come spiego nel libro ‘Quel Diavolo di un Trillo – note della mia vita’. Vita rischiarata dai bagliori che si spandono dai grandi, da Beethoven a Schubert, da Bach a Dvorák».

Un messaggio al mondo musicale italiano?

Promuovete la musica nelle scuole. L’unico antidoto alla svagatezza dei talent».